Perchè dico no alla proposta di Occhetto

Achille Occhetto ha recentemente posto al convegno «Uniti a sinistra» e in svariati articoli di stampa la questione della costruzione in Italia di un nuovo partito della sinistra. Il fondatore del Pds ha il merito di parlar chiaro, come mostra la stessa scelta di rievocare, anche terminologicamente, concetti («energie sommerse e disperse», «costituente», ecc.) che furono alla base della Bolognina. Non condivido la sua proposta e vorrei qui argomentare i motivi del mio dissenso.

Avrebbe potuto esserci una Bolognina di sinistra?

In premessa vorrei proporre ad Occhetto alcune riflessioni. Egli ha sostenuto che la svolta con la quale ha sciolto il Pci e fondato il Pds è fallita poiché ha subito, negli anni successivi, una torsione a destra. È probabile che tra i fondatori del Pds vi fossero varie sensibilità, ma che la svolta del 1989 non potesse che avere un esito di destra sembra difficile negarlo. Tre dati di fatto mi pare avvalorino questa mia convinzione.
1. Rifondazione Comunista non nacque in risposta alla cancellazione del nome e del simbolo del Pci (circostanza che, pure, ha avuto e ha la sua importanza). Il vero atto di nascita di Rifondazione ebbe luogo nel momento in cui undici senatori del Pci votarono contro la partecipazione italiana alla prima Guerra del Golfo. All’opposto, l’atteggiamento ambiguo nei confronti di quella guerra (tenuto da Occhetto e da quanti, come lui, non vollero esprimere voto contrario) costituì uno dei fattori costitutivi del Pds. Si trattò di una posizione molto simile a quella che avrebbe poi assunto il centro-sinistra negli anni Novanta (guerra in Kosovo) e che ancora in questi giorni caratterizza la componente moderata dell’Unione, che non parla più di un ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq.
2. Il Pds nacque con l’obiettivo dichiarato di garantire la «governabilità» e l’«alternanza», il che di fatto valse a cancellare dall’orizzonte del nuovo partito la lotta per la costruzione di un’alternativa (cosa ben diversa dall’alternanza), cioè di un processo che tenesse aperta la possibilità di una trasformazione della società (di un superamento del capitalismo) e non solo quella di un ricambio del governo.
3. Per realizzare questo progetto occorse disfarsi del sistema elettorale proporzionale e introdurre il sistema maggioritario. Ricordiamo bene il grande impegno profuso dal fondatore del Pds (al fianco di Mario Segni) al fine di realizzare questa operazione. Il sistema proporzionale venne seppellito da una sequela di bugie. Si sostenne che con il maggioritario il numero dei partiti si sarebbe ridotto e che si sarebbero avvicinati i cittadini alla politica! I risultati devastanti di quelle scelte sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dalla degenerazione e dalla personalizzazione della vita politica del nostro Paese. Basti dire che senza la sbornia maggioritaria lo stravolgimento della Costituzione operato dal centrodestra sarebbe stato impossibile. E gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi.

Una novità già vista

Con queste posizioni sulla guerra, la governabilità e il maggioritario, sarebbe stato davvero arduo realizzare una Bolognina di sinistra! Detto questo, veniamo alla proposta di un nuovo partito di sinistra lanciata da Occhetto. Perché questa proposta non convince? Sostanzialmente per due ordini di ragioni.
Essa si rivolge anche alla sinistra Ds, con il che allude a un percorso oggi concretamente impraticabile. Dopo il no di Rutelli alla lista unitaria della Fed e dopo la sua scelta di accentuare in senso neocentrista il profilo politico e identitario della Margherita, l’unificazione delle componenti moderate dell’Unione (l’idea dalemiana del «partito unico riformista») è giocoforza rimandata a tempi migliori. Ma proprio per questo è ben difficile ipotizzare che la sinistra dei Ds possa trovare la forza e le ragioni per partecipare a nuove operazioni politiche.
C’è poi il secondo versante della questione, che ci coinvolge ancor più da vicino. La proposta di Occhetto riguarda, ovviamente, anche l’arcipelago della sinistra di alternativa, l’insieme delle forze che si collocano alla sinistra dei Ds. Non si tratta di una novità. Sotto diversi nomi (costituente, consulta, proposta Pintor ecc.), l’idea di unire queste forze in un’unica formazione politica si ripresenta ciclicamente, almeno dall’inizio degli anni Novanta. Ma se questo è vero, prima di rinnovare l’invito occorrerebbe chiedersi perché mai questi tentativi siano regolarmente falliti. Inventarsi nuovi nomi non basta per risolvere problemi reali! Provo dunque a rispondere a questa domanda, assolutamente cruciale.
A mio giudizio tutte queste proposte sono fallite e sono ancora destinate a fallire perché non è vero che le forze politiche collocate a sinistra dei ds siano comprimibili in un unico partito politico. Per quanto mi riguarda (e so che questo vale anche per moltissimi altri) non mi riconosco affatto nel concetto espresso da Occhetto (lo disse anche alla Bolognina) secondo il quale i grandi filoni culturali delle sinistre del ’900 non hanno più nulla da dirci, ragion per cui «non si tratta più di scegliere tra comunisti e socialdemocratici». Mi pare difficile non riconoscere che ancora oggi, seppure in forme nuove, vi sia una parte della sinistra che ritiene di dovere e di potere esercitare il proprio ruolo dentro la società capitalistica migliorandola; così come vi è un’altra parte che – ritenendo ciò impraticabile (se non per parziali risultati) in forza dei meccanismi insiti nella società capitalistica – si propone di mettere quest’ultima in discussione in quanto sistema.
In questo contesto, non ritengo affatto esaurita la funzione di una soggettività politica comunista. Penso anzi che, se un limite c’è stato nel Prc fin dalla sua nascita, è quello di non avere affrontato seriamente il tema della rifondazione comunista: tema che oggi non va superato, come suggerisce Occhetto, bensì posto all’ordine del giorno. D’altra parte sarebbe veramente incredibile che proprio in Italia, dove ha operato il Partito comunista più forte dell’occidente capitalistico, con il suo portato di storia (la Resistenza, la Costituzione…) e di elaborazione (Antonio Gramsci), in presenza ancora oggi di due partiti che mantengono nei loro simboli e nel loro nome il richiamo al comunismo e con due quotidiani che si definiscono comunisti, si proponesse una operazione di azzeramento. Semmai si tratterebbe di trovare i luoghi dove queste forze e altre sparse possano avviare un serio lavoro di ricerca e di ricomposizione.

Il problema dei problemi. E cinque proposte

Nulla da fare quindi? Ognuno per la sua strada? Al contrario. Se sgombriamo il campo da quello che non si può fare (cioè un unico partito politico), il processo unitario può produrre risultati importanti e significativi. Proprio su questo vi è tuttavia un ritardo drammatico, che da tempo denunciamo e che ha portato anche la sinistra di alternativa a perdere di vista i contenuti e a finire – specularmente alla Fed – nel cul de sac dei contenitori (Lista Arcobaleno sì o no) e delle formule (come mostra la grande querelle sulle primarie, nei confronti delle quali mantengo intatte le mie critiche sullo strumento, fermo restando l’impegno di tutto il Partito al fine di procurare al compagno Bertinotti il miglior risultato possibile).
Perché le forze della sinistra di alternativa non si sono mai riunite per costruire assieme un programma comune? Perché è stato sistematicamente rimosso (e continua ad esserlo) quello che può considerarsi il problema dei problemi? Possibile che non si avverta la necessità di interrogarsi subito sulla possibilità o meno di entrare nel governo qualora il programma di Prodi dovesse rispecchiare, in politica estera e sui temi della sicurezza, le posizioni negative da lui espresse in questi giorni? Non si dovrebbe affrontare di petto adesso questo problema, anziché rischiare di trovarci di fronte a scelte irricevibili e a contrasti non sanabili una volta al governo, sotto il ricatto che un eventuale dissenso provocherebbe il ritorno delle destre alla guida del Paese? Non sarebbe urgente che tutte le forze della sinistra di alternativa affrontassero insieme tali questioni e decidessero insieme di conseguenza?
Proprio perché ne sono pienamente convinto, ritengo che, a prescindere dalle imminenti scadenze elettorali, occorra ricercare comunque la maggiore unità possibile tra tutte le forze della sinistra di alternativa. Per questo colgo l’occasione per avanzare alcune proposte.

1. Si unifichino in un’unica aggregazione le forze che si sono riconosciute nella «Camera di consultazione» (Asor Rosa) e in «Uniti a Sinistra» (Folena) e si elabori un programma di lavoro comune.
2. Questa aggregazione di forze si dia luoghi di incontro e di lavoro anche sul territorio.
3. Le forze politiche che ne fanno parte si impegnino a dare vita ad un Forum permanente dei rispettivi gruppi parlamentari.
4. Ogni partito accetti di concordare collegialmente, insieme alle altre forze dell’aggregazione, una quota delle proprie rappresentanze istituzionali e si impegni a destinare all’aggregazione stessa una quota parte del finanziamento pubblico.
5. Infine, l’aggregazione produca un proprio settimanale da diffondere come inserto attraverso i giornali della sinistra di alternativa già esistenti.

Mi pare, questo, il profilo di una unità possibile