La lettera dei dieci ministri degli Esteri europei a Tony Blair, neo incaricato del quartetto a ruolo di mediatore nel conflitto israelo-palestinese, rappresenta uno dei pochi segnali di vita di una possibile politica estera europea. Un segnale, contraddittorio a partire dal destinatario della missiva, che fa però emergere una volontà di discontinuità di una parte dell’Europa, che va apprezzata. Non parliamo qui di Unione Europea appositamente, poiché i suoi rappresentanti ufficiali, Solana e Barroso, si sono subito affrettati a prendere le distanze da quel testo, ribadendo la linea politica fin qui seguita, subalterna e muta di fronte ai disastri che la strategia statunitense di guerra al terrore e sostegno incondizionato ad Israele, ha prodotto in tutto il Medio Oriente. In particolar modo sulla questione palestinese, l’immobilismo europeo ha avuto enormi responsabilità nel vedere precipitare la situazione interna – come la stessa lettera dei ministri implicitamente ammette. Non aver riconosciuto il governo di unità nazionale è stato un errore di dimensioni epocali, forse non recuperabile, decisivo a creare l’instabilità e l’incertezza dei nostri giorni. L’iniziativa dei ministri cerca di smuovere la situazione, e per questo va accolta positivamente. Su singoli punti si può essere in dissenso, come quando non si distingue tra Nato e Onu per una eventuale forza di interposizione. Su alcune questioni, l’iniziativa può rappresentare una base minima da cui far ripartire il processo di pace e anche per questo viene attaccata dai sostenitori nostrani della “war on terror” – come Piero Ostellino sul Corriere della sera ) Uno dei punti salienti della lettera è la riconosciuta necessità di arrivare ad una negoziazione sullo status finale che affronti, senza precondizioni, tutti i temi sul tappeto. Non c’è più tempo. Dopo 40 anni di occupazione, altri rinvii non faranno altro che far morire qualsiasi ipotesi basata sul principio dei due stati per i due popoli. Un principio già compromesso dalla politica del fatto compiuto, che Israele sta portando avanti con muro e colonie, e dalla lotta fratricida e dalla disgregazione della società palestinese. Serve una conferenza internazionale che riprenda il piano di pace della Lega Araba. Per questo è una novità estremamente importante sostenere, come fa la lettera, la necessità di andare oltre la Road Map e le condizioni a cui veniva sottoposta la ripresa di veri e propri negoziati. Chi si ostina a fare riferimento alla Road Map non cerca una soluzione.
Altri elementi significativi sono il richiamo alla necessità di appoggio all’iniziativa egiziana e saudita per la ripresa del dialogo interpalestinese, la richiesta di liberazione dei prigionieri politici, la restituzione di quanto fin qui illegalmente trattenuto da Israele di tasse palestinesi. Viene ribadito un principio banale, ma non scontato, ovvero che senza coinvolgere tutti i palestinesi in un accordo, sarà impossibile ottenerne uno.
La scelta di Blair come mediatore è apparsa a molti, e a noi fra questi, una scelta disastrosa, in continuità con la politica dell’Ue di allineamento alle posizioni degli Usa e di Israele. Anche per questa ragione, una lettera che invita ad una autocritica e alla discontinuità non può che far bene. Vedremo se rimarrà sulla carta, o se invece ispirerà l’azione di Blair, se l’Ue vorrà ignorare quanto espresso da suoi autorevoli governi. Se prevarranno le ragioni della grande coalizione e dello status quo. Se Blair volesse lasciare ai posteri un segno diverso da quello di uomo di guerra quale è stato dovrebbe seguire questa via. Non ci facciamo illusioni. Vediamo tutti i limiti e le reticenze presenti nella lettera, sottolineate da Rossanda su il manifesto . Troppe volte l’Europa ha deluso le aspettative che essa stessa aveva contribuito a creare. Ma continuare a sperare che si possa cambiare è un nostro difetto. Sostenere una soluzione politica, l’unico antidoto alla barbarie della guerra.