Il No alla Carta Ue e l’uscita dalla subalternità atlantica
Il terremoto politico provocato dalla vittoria dei No nei referendum di Francia e Olanda ha dato un duro colpo al progetto liberista e neo-atlantico di “Costituzione europea” e pone ai comunisti e alla sinistra il tema stringente di un’altra Europa, in termini che trascendono l’orizzonte limitato di una mera rinegoziazione dentro i confini dell’Ue. L’Ue non è un contenitore neutrale, tinteggiabile di destra o di sinistra a seconda delle circostanze o del congiunturale prevalere nel Parlamento europeo di maggioranze di alternanza (di centro-destra o di centro-sinistra), bensì un progetto strutturato, che viene da lontano, di costruzione di un nuovo polo capitalistico e imperialistico sovranazionale, consolidato negli anni da innumerevoli vincoli e trattati (Maastricht, Nizza, formazione dell’euro e di una Banca Centrale Europea, Patto di Stabilità); con una Pesc (Politica estera e di sicurezza comune) che cerca spazi di autonomia dagli Usa dentro le strutture e le compatibilità atlantiche (una sorta di “condominio imperiale” per il governo del mondo). Rispetto a tutto ciò le forze di sinistra critica in Europa hanno espresso tre tipi di approccio.
1) Un primo filone è quello del “Sì critico” alla Costituzione europea che, pur criticandone l’impianto liberista e atlantico, ritiene che la “costituzionalizzazione” di questa Ue, per quanto discutibile, rappresenti comunque un passo avanti nella costruzione di un contrappeso agli Usa, al loro modello sociale, alla loro politica estera e militare aggressiva. E che una crisi di questa Ue, accentuata dalla vittoria dei No, determina un quadro non più avanzato, bensì più favorevole all’egemonia Usa sull’Europa.
Dice Pietro Folena: «Ho votato a favore della Costituzione, con un Sì critico, perché ritenevo che il rischio è che il processo di integrazione si fermi… Oggi il problema è far ripartire il processo costituente su basi nuove… Lavorare ad una vera Costituzione… demandando al Parlamento europeo poteri costituenti… La sinistra nel suo complesso (coloro che hanno sostenuto il No e chi ha espresso un Sì critico) oggi possono lavorare insieme ad una Costituzione più sociale e meno liberale”.
Dice Oliviero Diliberto, segretario del Pdci: «I partiti comunisti europei (che sostengono il No alla Costituzione, ndr) sbagliano. La bocciatura inflitta alla Francia è soprattutto una vittoria della linea Usa», che è quella di «far fallire l’unità europea, perché un’Europa politicamente unita e dotata di una propria difesa è in grado di controbilanciare il loro potere. Mentre, da solo, nessun Paese del nostro continente può farlo… Questa Costituzione europea è arretrata… però, visto che non mi sembra esistano rapporti di forza per una rivoluzione del proletariato, era un passo avanti».
Se questo approccio avesse prevalso, avrebbe impedito la vittoria dei No e certamente non sarebbe stato egemone nel fronte del Sì, dove sono del tutto prevalenti i conservatori europei e le componenti più moderate e atlantiste della socialdemocrazia. Nel SI’ critico si ritrovano anche le componenti più moderate della sinistra alternativa e, tra i comunisti europei, il solo Pdci.
2) Un secondo approccio è quello dei fautori del No che contestano i contenuti di questa Costituzione, ma ritengono che una “rinegoziazione” nell’ambito di un “nuovo processo costituente” che investa i popoli e il Parlamento europeo possa – nell’ambito di questa Ue – approdare ad una “nuova Costituzione” avanzata. Dunque, un approccio “emendativo” che – similmente ai fautori del Sì critico – non contesta la “costituzionalizzazione” dell’Ue, con poteri sovranazionali di tipo federale.
Si trovano qui alcuni settori di sinistra della socialdemocrazia europea e buona parte dei gruppi dirigenti del Partito della Sinistra Europea (Se), che ha fatto di questa posizione “interna” al quadro Ue uno dei tratti fondanti del suo profilo programmatico. Più sfumato il giudizio espresso dal Consiglio dei Presidenti della Se (che riunisce i leaders dei partiti membri) e che riflette una non compiuta omogeneità di vedute.
Non si parla di rinegoziazione o di «nuovo processo costituente», si afferma che «l’attuale trattato è politicamente morto» e che «bisogna ridiscutere le fondamenta e gli obiettivi dell’Ue e le sue politiche economiche, sociali, ambientali, istituzionali e internazionali». Il quadro di riferimento strategico resta comunque l’Ue e il tema della Nato non è neppure citato.
3) Un terzo approccio caratterizza la maggioranza dei partiti comunisti del continente e di altre componenti di sinistra anticapitalistica. Esso non si differenzia dagli altri due sull’esigenza, condivisa, di lottare per conquiste parziali all’interno dell’Ue e della dialettica politica e programmatica che vi si svolge.
Il punto è che le forze che si richiamano ad un’alternativa anti-liberista, contrarie alla guerra e all’imperialismo; che vogliono un’Europa unita, autonoma dagli Usa e dalla Nato, fondata non su poteri federali sovranazionali, ma sulla cooperazione di Stati sovrani, amica dei popoli del Sud del mondo, non possono pensare di perseguire compiutamente tali obiettivi dentro il quadro e le compatibilità di questa Ue, ma debbono avanzare un progetto alternativo.
Si continua a discutere come se l’Ue fosse tutta l’Europa. E’ difficile dar torto a Gorbaciov quando sostiene che «l’idea di una Grande Europa Unita (fattore geopolitico di significato planetario) non è risolvibile semplicemente con l’allargamento dell’Ue», cioè per assorbimento o cooptazione; e che «un processo paneuropeo di questa ampiezza non può essere costruito soltanto dalla parte occidentale… L’Europa deve poggiare su due pilastri e nell’iniziativa volta alla creazione di uno spazio economico comune tra Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan vedo il progetto della costruzione del pilastro orientale della casa europea». Per cui si tratta di «dare corso a una svolta davvero pan-europea», che dovrebbe innanzitutto opporsi ad ogni interferenza neo-imperialistica degli Usa, dell’Ue e della Nato negli affari interni dei Paesi dell’area ex sovietica, come invece è avvenuto – pesantemente – nelle vicende di Ucraina, Georgia, Paesi baltici e come sta avvenendo in Bielorussia, Moldavia e nella stessa Russia (a partire dal sostegno di alcuni servizi segreti occidentali al terrorismo ceceno, di cui ci ha più volte parlato con cognizione Giulietto Chiesa).
Un intellettuale britannico vicino a Tony Blair ha scritto che in Europa il bivio è «tra euroasiatici, che vogliono creare un’alternativa agli Usa (lungo l’asse Parigi – Berlino – Mosca – Delhi – Pechino) ed euroatlantici, che vogliono mantenere un rapporto privilegiato con gli Usa». Tony Blair ha espresso con chiarezza la sua linea euroatlantica, quella di «una potenza unipolare fondata sulla partnership strategica tra Europa e Usa»: per dirla con Sergio Romano, «una grande comunità atlantica, dalla Turchia alla California, di cui Londra sarebbe il perno e la cerniera».
Se invece l’Europa vuole uscire dalla subalternità atlantica, deve essere aperta ad accordi di cooperazione e di sicurezza con Russia, Cina, India; e con le forze più avanzate e non allineate in Africa, Medio Oriente, America Latina. Ha scritto bene Samir Amin: «Un avvicinamento autentico fra l’Europa, la Russia, la Cina, l’Asia costituirà la base sulla quale costruire un mondo pluricentrico, democratico e pacifico». Dunque un’Eurasia non allineata, che può rappresentare un interlocutore anche per le forze progressiste delle altre regioni del mondo.