La giornata seminariale organizzata a Roma il 30 settembre, presso la Casa delle Culture, dall’Associazione Marx XXI mirava a squadernare alcune delle questioni aperte davanti alle quali si trovano oggi i comunisti, nel momento in cui tornano a porre all’ordine del giorno il tema di un’identità comunista adeguata alle sfide attuali e di un’organizzazione unitaria in grado di essere uno strumento efficace della loro azione, un Partito comunista di quadri e di massa, che sia a sua volta cardine di una nuova e forte sinistra di alternativa.
L’iniziativa romana ha visto quindi gli interventi di Francesco Maringiò, del dipartimento Esteri di Rifondazione comunista; di Andrea Catone, direttore de “l’Ernesto”; di Alexander Höbel, coordinatore del Comitato scientifico dell’associazione Marx XXI; di Vladimiro Giacché, vicepresidente dell’associazione Marx XXI; e di Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI. In platea, oltre ad un folto pubblico e a molti quadri e simpatizzanti romani, c’era una nutrita delegazione di compagni di Terni, che nella loro città hanno già dato vita a un significativo nucleo di Marx XXI.
Nella sua relazione, su Il quadro internazionale e le forze comuniste e antimperialiste nel mondo, Francesco Maringiò ha sottolineato il notevole mutamento in corso nei rapporti di forza mondiali, dall’ascesa dei paesi del BRIC all’importante esperienza dell’ALBA in America latina; le tendenze di sviluppo prefigurate dai maggiori economisti mostrano un mondo che in pochi anni vedrà un ruolo sempre più rilevante di Cina, India, Russia, Brasile e altre potenze emergenti, ciò a cui corrisponde un crescente declino degli USA, mentre la stessa crescita cinese pone potenzialmente le basi per l’uso di una nuova moneta per gli scambi internazionali, e ormai anche la MacDonald emette obbligazioni in yuan. Dall’altra parte, proprio questi mutamenti acuiscono competizione economica e conflittualità politica, col rischio che il confronto possa spostarsi anche sul terreno militare; proprio per questo, occorre rimettere al centro della lotta dei comunisti l’azione per la pace e il disarmo, oltre alla battaglia per il recupero di una reale sovranità nazionale, che metta in discussione il ruolo della NATO e i suoi vincoli.
Andrea Catone ha invece parlato sul tema No al liquidazionismo, si alla critica marxista e comunista. Per un’analisi del “socialismo reale. Proprio l’esperienza cinese – ha esordito – dimostra che rispetto alla politica gorbacioviana erano possibili anche altre strade; quella cinese, in particolare, ha tenuto assieme il piano con il mercato, un forte ruolo dello Stato e un’estrema centralizzazione con un sostanziale progresso della società e dell’economia. L’esperienza sovietica dovette dal canto suo affrontare una doppia sfida, quella contro l’arretratezza e quella per la trasformazione del modo di produzione e la costruzione di una nuova società; passare dalla nazionalizzazione dell’apparato produttivo alla sua effettiva socializzazione, peraltro, richiedeva quell’alto grado di civiltà a cui si riferisce Lenin nei suoi ultimi scritti, oltre che un livello elevato di sviluppo delle forze produttive: ciò a cui si cercò di fare fronte nei decenni successivi, anche in presenza della sconfitta della rivoluzione in Occidente. In dieci anni, quindi, l’URSS dovette fare ciò che i paesi capitalistici avevano fatto in un secolo, con tutti i problemi che ciò comportava. Tuttavia un intenso progresso vi fu. Solo negli anni ’70, col venir meno di un effettivo ruolo dirigente del Partito comunista, una certa “ossificazione” teorica, e soprattutto col mancato passaggio da un modello di sviluppo estensivo a uno intensivo, l’URSS iniziò la sua crisi, che sarebbe stata accelerata e aggravata dalle politiche di Gorbacëv.
Dal canto suo, Alexander Höbel ha affrontato il tema dell’eredità storica del PCI, con la relazione Da Gramsci alla “Bolognina”: lezioni per l’oggi e per il domani. È possibile parlare di “lezioni” da trarre solo se si intende l’avanzata delle forze progressive e la costruzione di una nuova società come quel “processo di apprendimento” di cui parla D. Losurdo. In questo senso, le “lezioni” della storia hanno una loro utilità; e in questo senso i militanti del PCI concepivano l’esperienza del loro partito, in termini di “rinnovamento nella continuità” e con la consapevolezza che solo un’accumulazione continua di conquiste teoriche e pratiche può consentire dialetticamente di fare passi avanti. Quattro elementi del grande patrimonio del PCI sono oggi di estrema attualità e vanno “re-imparati”: 1°) Il legame organico tra il Partito e le masse, per cui il Partito cresce assieme alle masse, non solo sul piano quantitativo ma anche nel processo di apprendimento su citato; e in questo senso c’era una vocazione pedagogica del PCI, e la priorità dello stare tra le masse non venne mai meno, dagli anni del fascismo alla costruzione del “partito nuovo”, radicato nei territori con le sezioni, nei luoghi di lavoro con le cellule e infine in tutta la società attraverso la fitta rete degli organismi di massa. 2°) Il nesso democrazia-socialismo, con la conseguente strategia gramsciana dell’egemonia, l’idea togliattiana della “democrazia progressiva”, la “programmazione democratica” del PCI di Longo e l’idea di un ruolo complementare di una forte democrazia parlamentare e di numerosi luoghi di controllo popolare e gestione dei lavoratori organizzati nei gangli vitali della società, dal collocamento alla previdenza, dalla sanità alla formazione. 3)° Il ruolo di governo svolto anche dall’opposizione, grazie a una capacità di elaborazione e proposta politica in tutti i campi e a una corrispondente iniziativa di massa. 4)° La capacità di coniugare radicamento nazionale con la dimensione e la prospettiva internazionalistica.
Certo, delle lezioni del passato fanno parte anche gli errori e i difetti, che emersero negli ultimi anni di vita del PCI, dal “politicismo” a una carente politica dei quadri. Ma anche dagli errori bisogna imparare, sapendo che quella alle nostre spalle è una storia grande che ha ancora tanto da dire.
Vladimiro Giacché è invece intervenuto sul tema La crisi economica, l’attacco al lavoro e le proposte dei comunisti. La centralità del dollaro sta ormai venendo meno; le funzioni di Welfare, demandate negli USA a fondi pensione legati al capitale finanziario, non resisteranno; la stessa politica economica di Obama, lungi dall’essere neo-keynesiana, propone una socializzazione delle perdite a vantaggio del grande capitale. C’è il rischio di politiche economiche “non cooperative” tra gli Stati (con svalutazioni competitive, neo-protezionismo, guerre valutarie) che potrebbero a loro volta preludere a rischi più gravi. L’Unione Europea, dal canto suo, con la sola moneta comune ma senza politiche economiche e fiscali collettive, nello smantellamento delle residue politiche sociali, contribuisce ad acuire la crisi. I comunisti devono quindi opporsi all’irrigidimento dei trattati UE, ai “rientri molto rapidi” dal debito, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ciò comporta, e al limite non va esclusa l’idea di una fuoriuscita dalla UE. Quanto all’Italia, ha avuto gli effetti peggiori della crisi, con un calo dell’attività industriale del 20%, la produzione tornata ai livelli del 1986, i consumi ai livelli del 1999, e la disoccupazione giovanile al 18%. Il governo risponde proseguendo nella deregulation e attaccando le tutele previste dalla Costituzione. Ma è possibile contrapporre alle sue ricette una politica economica alternativa in cui il recupero di equità sociale e fiscale crei le condizioni per rilanciare lo sviluppo economico. Bisogna prospettare una vera riforma del Welfare, per la quale i fondi siano recuperati dai tagli alle spese militari, e che si basi sulla separazione previdenza/assistenza (ponendo la seconda a carico della fiscalità generale), sul ripristino della scala mobile, su forti investimenti nella formazione e nella ricerca, sul controllo sociale di settori strategici dell’economia
Dopo gli interventi dalla platea, che hanno posto il tema dell’unità dei comunisti per contrastare la frammentazione e avviare un forte rinnovamento politico-organizzativo, ha preso la parola Oliviero Diliberto. C’è la necessità di riprendere un rapporto proficuo tra la politica e la riflessione teorica – ha esordito. Il PCI era dotato di una quantità di strutture culturali e di luoghi di elaborazione, che poi il Partito traduceva in proposta politica. Anche in questo senso, la sua esperienza è stata quella di un partito “educatore”, che ha alfabetizzato e formato le classi popolari. Negli anni ’80 l’accettazione dell’ideologia dominante ha aperto la crisi, mentre si affermava un eclettismo culturale che è continuato anche dopo la fine del PCI e continua a fare danni a sinistra. Va fatta dunque una battaglia per ripristinare il rigore intellettuale, e costruire un’elaborazione programmatica adeguata all’Europa capitalistica di oggi, sapendo che i comunisti potranno dare risposte adeguate solo se raggiungeranno una loro unità politica e organizzativa, una massa critica superiore a quella degli attuali due piccoli partiti comunisti, solo se si unificheranno in un solo Partito comunista e cercheranno di mettere a fuoco un profilo politico e teorico all’altezza dell’attuale scontro di classe. Marx XXI dovrebbe mettere in cantiere momenti di discussione tematica, a partire da alcune questioni nodali: 1) L’immigrazione, il formarsi di società multietniche in Europa, la necessità di un nuovo rapporto coi paesi del Sud del mondo; 2) L’impatto di Internet e dei nuovi media nell’organizzazione della politica, i nuovi strumenti e modi della comunicazione politica, con le sue nuove opportunità e i suoi pericoli di neo-populismo; 3) La questione della Cina e il ruolo dell’Europa, con la sottolineatura del fatto che l’unico modo per uscire dalla crisi in avanti è lo sviluppo di una nuova economia della conoscenza. È necessaria insomma una riconversione economica e sociale del modello di sviluppo: puntare su scuola, Università, formazione e ricerca deve essere una delle priorità per i comunisti nel confronto col centro-sinistra. Accanto a questo, la necessità di vere politiche di trasformazione, con forti investimenti pubblici per fini di utilità sociale, dal recupero del territorio dissestato alla costruzione di nuove infrastrutture. Anche su questi temi, dunque, Marx XXI può dare un contributo importante.
L’iniziativa si è chiusa con nuove adesioni alla nostra associazione, che ha ormai anche un nucleo di compagni residenti a Roma e disposti a contribuire al lavoro di Marx XXI nella capitale.