“Per un avvenire di pace”

Vi presentiamo il testo dell’intervento che quest’oggi Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri, uno dei circa seimila militari italiani trucidati a Cefalonia dalla Wehrmacht nel settembre 1943, leggerà dal palco della manifestazione milanese per il 25 aprile.

*FESTA DELLA LIBERAZIONE MILANO 25 APRILE 2007

Mi chiamo Marcella De Negri, e sono la figlia di uno dei 137 ufficiali della Divisione Acqui, fucilati dai soldati tedeschi della Wehrmacht il 24 settembre 1943alla Casetta Rossa , a Cefalonia. Sarei stata molto fiera di festeggiare oggi, con tutti voi cittadini presenti in piazza, l’anniversario della Liberazione del nostro Paese, avvenuta 62 anni fa, anniversario che ha sempre fatto vivere a Milano un momento importante e solenne. Non sono mai mancata, con la pioggia torrenziale, la folla immensa e l’emozione di quel giorno memorabile del 1994 e sempre, con il sole, il vento, il caldo o il freddo, degli anni precedenti e successivi.
Quest’anno, invece, non ho potuto accettare l’invito del presidente dell’ANPI , Tino Casali, a parlare in questa piazza, in questa data così importante per la nascita dello Stato repubblicano e antifascista, per la prima volta, della strage dei soldati della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù. Avevo già accettato l’invito ad andare a rendere omaggio alle vittime di quell’eccidio insieme al Presidente Napolitano, il quale ( primo fra i Presidenti della Repubblica italiana), trascorrerà il 25 aprile, festa della Liberazione, a Cefalonia.
Sono grata al Presidente Napolitano, perché con questa decisione, anche lui come già aveva fatto il Presidente Ciampi nel 2001, attribuisce un significato simbolico molto importante, come primo atto della Resistenza italiana al nazismo, al sacrificio della Divisione Acqui, sacrificio certo non desiderato, ma affrontato con grande senso di fedeltà dei soldati al giuramento d’amor di Patria e come scelta estrema di libertà. Sono fermamente convinta che il rifiuto dei soldati della Divisione Acqui di combattere al fianco dei tedeschi sia il primo atto della Resistenza italiana al nazifascismo.
Francamente non so se i martiri di quell’eccidio si possano considerare propriamente “partigiani”, anche se tra i documenti di mio padre ho recentemente trovato un Certificato, emesso nel 1951 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione Riconoscimento Qualifica Partigiani-, nel quale mio padre è considerato facente parte, nel 1943, della Formazione Partigiana Divisione Acqui, e poichè il periodo della sua attività operativa va dal 9 al 24 settembre 1943 è stato… partigiano per 15 giorni. In questi ultimi mesi ha avuto una notevole rilevanza mediatica un processo che si sta svolgendo a Monaco di Baviera, contro alcuni dei responsabili della fucilazione degli ufficiali italiani, fra i quali appunto c’era mio padre, alla Casetta Rossa di Cefalonia, il 24 settembre 1943. In questo processo io sono l’unica parte civile, insieme ad un nipote che vive in Brasile e porta il nome di mio padre, Francesco De Negri.
L’interesse della stampa è stato molto vivace, non solo in Italia e in Germania, ma in tutta Europa, soprattutto a causa delle parole usate a proposito dei soldati italiani in un’ordinanza di archiviazione del 26 luglio 2006 del Procuratore Capo di Monaco di Baviera: secondo il P.M., August Stern, infatti, i soldati italiani erano “traditori”, paragonabili ai disertori tedeschi, quindi passibili di fucilazione. Essi non avevano diritto, nonostante si fossero arresi e quindi fossero disarmati, ad essere considerati “normali” prigionieri di guerra. Questa ordinanza, dal chiarissimo sapore di “giustizia” hitleriana, emessa nel 2006, in un paese amico, membro come noi dell’ Unione Europea, ha scandalizzato il mondo intero. Naturalmente , attraverso i miei avvocati, italiano e tedesco, ho fatto ricorso all’ordinanza di archiviazione.
Il Procuratore Generale di Monaco ha avocato a sé il procedimento e ha emesso una decisione, in febbraio, che pur respingendo ancora una volta il mio ricorso, ci ha però comunicato “il rammarico” del P.M. Stern per le espressioni usate nella sua ordinanza. I tedeschi, politici e magistrati , non chiedono mai scusa, ma esprimono il loro dispiacere, poiché chiedere scusa significa ammettere la propria colpa e quindi anche aprire la via ad una possibile richiesta di risarcimenti da parte di chi ha subito il danno. Purtroppo anche noi italiani non abbiamo ancora chiesto scusa ai popoli a cui abbiamo, ingiustamente, fatto guerra. Temiamo anche noi di dovere poi delle riparazioni?

Ho fatto ancora ricorso presso la Corte d’Appello della Baviera e attendo in questi giorni la nuova decisione. Non mi faccio illusioni, poiché so bene che, mai, la magistratura tedesca ha condannato, con sentenza definitiva, un suo concittadino per crimini commessi in Italia o, come nel caso di Cefalonia, su italiani all’estero. Non mi faccio illusioni ma continuerò a combattere, sino alle ultime istanze che mi saranno concesse.
Nei mesi successivi all’ordinanza del P.M. Stern si sono svolti importanti Convegni a Monaco di Baviera, a Bergamo, ad Acqui Terme sul tema ” Quale giustizia per Cefalonia, dopo l’ordinanza Stern a Monaco di Baviera ” con la partecipazione di importanti giuristi, storici ed alti magistrati. Domani, alla Protomoteca del Campidoglio a Roma avrà luogo un convegno dal titolo “Cefalonia : primo atto della Resistenza”. Credo comunque che con la mia costituzione a parte civile un risultato già molto importante sia stato ottenuto, e sono le 13.000 pagine di Atti, che comprendono: documenti, interrogatori, fotografie, rogatorie fatte in Italia, Grecia e Germania, che sono nello studio del mio avvocato tedesco ( e sarebbero altrimenti giacenti solo presso la Procura di Monaco ) e serviranno agli studiosi per capire sempre meglio ciò che successe a Cefalonia e Corfù in quei tragici giorni del ’43. Spero soprattutto che saranno utili ai giovani, di oggi e di domani, per conoscere per non dimenticare.
A ognuno su questa piazza un affettuoso, fortissimo abbraccio antifascista e un invito a resistere sempre e a battersi solamente per un avvenire di pace. Viva il 25 aprile