Reuf (nome di fantasia) è rumeno, viene dalla regione di Dracula, la Transilvania. Ha 30 anni e vive a Torino da tre. Non parla ancora bene italiano. «Ma questo non importa – dice – perché nessun datore di lavoro mi ha mai chiesto se parlavo bene la vostra lingua». Padroni ne ha cambiati diversi in questi tre anni. Contratti non ne ha mai avuti. Fino a tre mesi fa, quando la ditta edile dove lavora lo ha messo finalmente in regola. «Ero contentissimo – dice – quando mi hanno detto che mi avrebbero fatto un contratto. Puoi immaginare la delusione quando mi hanno fatto firmare una carta che dice che lavoro tre ore al giorno. Per quelle tre ore mi pagano. Cinque euro l’ora. Ma io lavoro 12 ore al giorno, a volte anche 14». Non ci sono ovviamente gli straordinari. Le nove ore in più vengono pagate sempre cinque euro, cash. Reuf ha sempre lavorato nei cantieri. «E’ abbastanza facile – dice – farsi prendere. Basta non protestare». Che significa accettare qualsiasi cosa. A partire dall’assoluta mancanza di sicurezza. «Figurati se ci fanno qualche corso sulla sicurezza! Andiamo nel cantiere, c’è qualcuno che ci spiega che dobbiamo fare e poi si va. Non ci resta che pregare che non succeda nulla». A Reuf sei mesi fa è caduta su un piede la tavola di legno di una impalcatura. «Il mio collega – spiega – non l’aveva fissata bene. Del resto lui non aveva mai costruito impalcature. E mi sono ritrovato con due dita quasi tranciate di netto. Per fortuna mi è andata bene. All’ospedale mi hanno ricucito e il piede ora è a posto». Non c’era mutua per Reuf che così ha detto di essersi ferito in casa. «Ho dovuto dire questo – aggiunge – altrimenti il padrone mi avrebbe lasciato a casa. E io non posso permettermi di perdere il lavoro». Già perché Reuf, come tanti giovani migranti (e non solo), deve pensare alla sua famiglia. «Ho moglie e due bambini piccoli – dice – come faccio a mantenerli se non ho un lavoro? Il mese scorso ho avuto un altro incidente. Sono caduto da una scala: tre costole incrinate». Anche in questo caso, niente denuncia di infortunio: con il contratto che dice che lavora tre ore al giorno, come avrebbe fatto Reuf a spiegare che stava su quella scala per finire il lavoro alle sette di sera? «Ci sono ragazzi – racconta – che vengono cacciati se protestano. Ci sono altri che vengono presi soltanto a giornata. Vengono scelti, proprio come si faceva con gli schiavi, per le loro doti fisiche e magari vengono utilizzati in un cantiere per una settimana e poi lasciati a casa». Denunciare i soprusi non è un’opzione per questi lavoratori. «E poi che mangiamo a casa?».