Per gli impiegati Lidl orari disumani e clima da Gestapo

Pochi giorni fa sul blog di Bebbe Grillo è stata pubblicata la testimonianza di un ex impiegato italiano presso la catena europea di supermercati discount di origine tedesca Lidl. “Fantozzi è vivo e lotta con noi” titola il post, e la risposta di bloggers e lettori è immediata.
Dall’Italia al Belgio, passando per la Spagna, unanime è la condanna nei confronti del sistema di sfruttamento e del mancato rispetto dei diritti sindacali dei dipendenti della multinazionale in questione. Liberazione ha intervistato Olaf Costanzi, trentacinquenne tedesco di origini italiane assunto a tempo indeterminato presso una delle sedi Lidl della capitale dal gennaio 2005. In Germania – si legge sul Libro nero Lidl (Schwarzbuch Lidl) pubblicato dal sindacato unitario tedesco del settore dei servizi (Ver. di) il 10 dicembre 2004 in occasione della giornata dei diritti dell’uomo e che l’azienda ha respinto definendolo “una campagna diffamatoria” – sono più di 2500 i punti vendita sparsi sul territorio nazionale per circa 33mila dipendenti, di cui l’85% donne. Sono loro, i lavoratori dei discount Lidl, a pagare per i consumatori di tutto il mondo il prezzo del risparmio e della convenienza che l’azienda garantisce e su cui basa la sua forza e la sua politica aziendale.

La Lidl nasce negli anni Trenta nella zona centrale della Germania con il nome di Lidl & Schwarz e si trasforma intorno ai Settanta in un discount internazionale con filiali in 24 Paesi europei tra cui Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Norvegia, Inghilterra, Italia, Spagna, Svezia (da cui proviene il suo fondatore e proprietario: Herr Dieter Schwarz, uno dei 40 uomini più ricchi del mondo secondo l’elenco del periodico americano Forbes nel quale non compare più dal ’99 in seguito a esplicita richiesta dei suoi legali).

La testimonianza di Olaf è molto simile a quella riportata dal lavoratore italiano. Laureato in economia e commercio presso la Humboldt-Universität di Berlino, dopo alcuni impieghi a tempo determinato, gli viene offerto un contratto a tempo indeterminato come “responsabile di negozio” alla Lidl.

Bisogna premettere che, mentre lo stipendio per un posto di responsabilità come quello di “capo area” in Germania è davvero allettante (50mila euro l’anno lordi contro i 29mila euro riportati nella testimonianza pubblicata su www. beppegrillo. it in Italia), per gli impiegati di “primo livello” come il cassiere, il magazziniere o il responsabile di un solo punto vendita come in questo caso, si arriva massimo a 1200 euro al mese netti. Il problema però, non è tanto e solo il salario, ma soprattutto gli orari di lavoro massacranti e assolutamente antisindacali. Il negozio apre al pubblico alle 9 del mattino dal lunedì al sabato ma Olaf deve essere sul posto di lavoro un’ora prima per assicurarsi che tutto sia a posto e la merce sia arrivata. Il suo turno finisce non prima delle 21 con una breve pausa pranzo (per fortuna la ditta fornisce i buoni-pasto) e tre volte a settimana deve scaricare personalmente il camion della merce “fresca” come frutta e verdura perché nel suo punto vendita non ci sono addetti a questo specifico servizio.

«Come se non bastasse – racconta rassegnato – sono soggetto a continui controlli e il clima che si respira è quello militaresco ed estremamente gerarchico basato sul terrore e sulla precisa volontà di impedire ai dipendenti qualsiasi tipo di azione sindacale o di protesta. Le cassiere del mio punto vendita, tutte donne, dovrebbero svolgere turni di 4 ore ciascuna ma spesso viene loro imposto di prolungare l’orario di lavoro con appena un giorno di preavviso senza poter protestare perché chi si ribella viene licenziato immediatamente».

Ai magazzinieri non sono riconosciute le più elementari garanzie di sicurezza sul lavoro ed è loro compito arrampicarsi senza protezione su precarie strutture metalliche sulle quali è obbligatorio posizionare i prodotti che arrivano imballati dalle sedi centrali (ricordiamo che i discount e gli ipermercati Lidl offrono al consumatore non solo generi alimentari ma anche e soprattutto elettrodomestici, prodotti di cancelleria, abbigliamento, oggettistica varia). Chi si assenta qualche giorno per malattia deve scontare psicologicamente la sua scarsa “devozione” al lavoro oltre che, ovviamente, presentare certificato medico.

Il nodo della questione, che ci sembra caratterizzi la multinazionale in tutti i Paesi che ha “colonizzato”, è contenuto nel famoso Schwarz Buch in cui è descritto il funzionamento delle scuole di formazione per le nuove leve dei dirigenti dell’azienda. A loro viene insegnato come impedire la formazione delle commissioni interne del sindacato o come affrontare temi quali “il conflitto come opportunità e la paura come strumento di potere”.

Alla luce di questa e di molte altre testimonianze di lavoratori di diversi Paesi (ad oggi esistono circa 16mila supermercati Lidl), il sindacato europeo (CES) e il sindacato internazionale UNI si stanno adoperando dal 2005 per mettere a punto nuove strategie comuni tra le organizzazioni dei lavoratori Lidl delle varie nazioni. Perché, ricordiamolo, il consumatore che risparmia e il lavoratore che ci rimette sono sempre la stessa persona.