E’ comprensibile che l’ipotesi di elezioni politiche ravvicinate abbia riacceso l’interesse dei comunisti sul come, con chi e contro chi prepararsi a questa eventualità. Alcuni compagni sono del parere che, in base alle scelte politiche fatte dal PD di Bersani, il cui baricentro appare sempre più spostato a destra, sia difficile continuare a considerarlo un partito di centro sinistra con il quale poter stringere un qualsiasi tipo di accordo elettorale, anche minimo, inclusa una eventuale intesa a scadenza per liberarci di Berlusconi. Unica soluzione, si dice, sarebbe una lista di sinistra con connotati di classe veri e totalmente autonoma.
L’idea di combattere contro le due destre, oltre a non essere nuova, non è sbagliata in linea di principio, soprattutto se è un sindacalista a proporla: entrambe rappresentano gli interessi del capitale confindustriale e finanziario e non fanno nulla per nasconderlo.
Ovviamente una certa differenza tra i due schieramenti maggioritari esiste e vedo che nessuno trascura di notarla : quella di Berlusconi/Bossi è una destra eversiva, piduista, tendenzialmente fascista, razzista e forcaiola, mentre quella di Bersani, Casini e dintorni gestisce il rapporto con le istituzioni e lo Stato con il bon ton, stile anglosassone, e sottrae un poco per volta gli spazi di agibilità politica e sociale al mondo del lavoro e alla sinistra senza farla troppo strillare. Ma la scelta di campo neo liberista, nei suoi aspetti peggiori, è comune ad entrambi gli schieramenti.
La conclusione sembra più che ovvia: per salvare le conquiste sociali costate lacrime e sangue al movimento operaio le due destre vanno entrambe combattute senza fare sconti a nessuno
Dal punto di vista strategico questa sommaria e grossolana sintesi non fa una grinza. Ma sappiamo anche che dal punto di vista tattico qualunque manuale di strategia militare, da quello scritto tremila anni fa da Sun Tzu sull’Arte della guerra, a quello un po’ più recente di Giap sulla “Guerra di popolo”, insegnano che i nemici vanno combattuti uno alla volta, dividendoli, scegliendo chi e quando colpire e accumulando forze tali per poter vincere. Quindi la domanda è: quanti sono i salariati, i disoccupati, i precari e i cassaintegrati disposti a votare falce e martello, qui e ora, in assenza di un autentico soggetto comunista, titolare di un progetto di radicale cambiamento sociale e politico, capace di incidere sui rapporti di forza tra capitale e lavoro?
Per evitare una risata assassina come risposta basta fare un po’ di conto. Anche facendo la somma di tutte le sigle che si proclamano comuniste o facsimili è difficile immaginare che questa malmessa sinistra italiana, priva di un autentico partito comunista, sia oggi autosufficiente da poter combattere in contemporanea le due destre e rioccupare spazi istituzionali dignitosi .
Perciò attenzione! Quando si sbaglia a scegliersi i nemici si sbaglia anche a scegliersi gli amici. Pur considerando che l’amicizia è un legame soggetto a durata e intensità variabile – può durare un giorno, un anno o una vita intera – l’importante è non sbagliare il momento tra quando puoi e devi stringere una mano e quando invece devi sferrare un pugno. Il minimo errore di valutazione dei rapporti di forza e nella scelta di possibili alleati nella battaglia contro Berlusconi rischia di offrire un’altra chance al puttaniere e di farci scomparire per i prossimi decenni dalla vita politica italiana. E la destra “moderata” di Bersani, Veltroni e D’Alema non aspetta altro.
La flessibilità tattica di un partito comunista non è mai stata il frutto di una bizzarra intuizione estemporanea di qualche dirigente opportunista, ma una prassi consolidata , fin dai tempi dei bolscevichi, e tuttora praticata, nelle condizioni specifiche di ciascun paese, da grandi e sperimentati partiti comunisti come quelli operanti in India e Sudafrica. Partiti che si sono trovati davanti al dilemma di dover scegliere il male minore tra “due destre” ugualmente connotate dalle scelte ultraliberiste dei partiti che governano i due paesi, il Congress Party a Delhi nel primo caso, la componente moderata dell’ANC a Pretoria nel secondo. Benchè non siano governi di destra, (la storia dell’ANC dei tempi eroici la conosciamo tutti) entrambi obbediscono, con motivazioni e intensità diverse, agli imput che arrivano dai centri del potere economico e finanziario ed anche a quelli del FM e della BM.
La decisione dei comunisti indiani e sudafricani di sostenere comunque i loro governi (o nel caso del Sudafrica di farne parte), per evitare che il paese ricada in mani peggiori, si accompagna ad un impegno parallelo e di gran lunga prioritario, a sostegno dei grandi movimenti di lotta sindacali e politici che non danno tregua ai centri di potere economico e finanziario dei due paesi: nelle scorse settimane cento milioni di lavoratori indiani hanno partecipato, col sostegno dei comunisti, ad uno dei più grandi scioperi della storia di quel paese, mentre il Cosatu, sindacato gestito dai comunisti sudafricani, è al suo settimo sciopero generale contro il governo e gli industriali da quando l’ANC governa il paese.
Mi pare sia questo il modo giusto di superare l’apparente contraddizione tra il pieno sostegno ai movimenti di lotta e le contemporanee aperture ad uno schieramento politico di destra moderata, ovvero di “centrosinistra”, che, pur essendo nostro antagonista sul piano sociale e politico, si pone l’obbiettivo di sconfiggere, qui e ora, la destra più oltranzista e pericolosa. Dopo di che, sempre che l’impresa riesca, ognuno per la sua strada.