Non c’è pace per le pensioni dei lavoratori italiani. Dalla padella dello scalone alla brace della proposta del ministro Damiano, che da una parte vuole salvaguardare il criterio degli incentivi ma dall’altra di fatto introduce l’innalzamento dell’età di uscita attraverso il disincentivo. Insomma, il paletto dei “diritti acquisiti” vacilla vistosamente. Come se non bastasse, il commissario Ue Joaquin Almunia ieri è tornato ad insistere sulla necessità delle riforme strutturali, tra cui naturalmente rientra anche un intervento sulla previdenza. Il ministro Ferrero, intanto, ricorda che sulle pensioni il programma dell’Unione parla chiaro: abolizione dello scalone e miglioramento del trattamento delle pensioni più basse.
La reazione dei lavoratori alle ipotesi di intervento è netta: “abbiamo già dato”. “Liberazione” ha tastato il polso dei luoghi di lavoro raccogliendo argomenti molto convincenti contro ulteriori tagli dell’assegno pensionistico, dichiarati e non, e altri allungamenti dell’età pensionabile.
Quasi tutti ricordano come già dal ’94, all’epoca del primo intervento il refrain governista era “intervenire oggi per non intervenire domani”. La realtà è che la questione delle pensioni somiglia sempre più al vaso di Pandora: una volta scoperchiato non si riesce a richiuderlo.
Per Giuseppe Stoppini, Rsu della Cgil alla Unilever di Bologna, il meccanismo dei disincentivi non tiene conto di una busta paga già penalizzata sia nella parte “diretta” che in quella “indiretta”. «E non va dimenticato – aggiunge – che nel Dpef viene teorizzato il contenimento dei salari, già di per se inaccettabile». Sandro Borroni, rappesentante sindacale Cgil presso la Vodafone, è d’accordo. «Il disincentivo non è a costo zero per il lavoratore». «E poi c’è il problema del turn over – aggiunge – perché chi rimane al lavoro di fatto toglie un posto ad un giovane che quindi è costretto a rimandare il suo ingresso nel mondo del lavoro». Franco Tonon è un rappresentante sindacale che ha fatto le grandi battaglie contro le precedenti riforme. «Prima abbiamo toccato la condizioni previdenziali dei giovani ed ora tocca ai più anziani. Credo che il meccanismo escogitato da Damiano sia più o meno il superbonus confezionato da Maroni. Anche se in modo mascherato, viene toccata l’età del pensionamento». Anche per Tonon, però, il problema vero della previdenza italiana continua ad essere quello degli assegni mensili delle giovani generazioni, che “godranno” di un tasso di sostituzione inferiore al 40% dell’ultimo stipendio».
La proposta del ministro Damiano prevede una età minima di pensionamento e una età massima. Entro questo spettro agisce un meccanismo di disincentivo per chi sceglie un’uscita vicina all’età minima e di incentivo per la massima. Se da una parte cerca di mantenere il criterio della flessibilità proprio della Dini, dall’altra introduce di fatto una riduzione degli importi attraverso strumenti completamente nuovi. Beniamino Lapadula, responsabile del dipartimento Economia della Cgil, l’intervento di azzeramento dello “scalone” va visto nel più ampio equilibrio della legge finanziaria. «L’idea di una mera cancellazione non è nell’ordine delle cose». La spesa per le casse dello Stato si aggira intorno ai quattro miliardi. Anche Lapadula vede un pericolo per le giovani generazioni, peggio se precari. «Vanno introdotti – dice – i contributi figurativi per chi è stato costretto a registrare forti discontinuità nella carriera lavorativa. E questo anche alla luce del fatto che le proiezioni della legge Dini e quindi la sua sostenibilità avevano una visione ottimistica della precarietà. E invece ci troviamo di fronte a un fenomeno di massa».
Dino Miniscalchi, Rsu Fiom alla Fiat di Melfi, ha 37 anni, 12 dei quali già passati in fabbrica. «Stare su una catena di montaggio – spiega – non è come stare dietro a una scrivania. In particolare a Melfi abbiamo una metrica del lavoro, il famigerato Tmc2, ormai sempre più diffuso nelle fabbriche metalmeccaniche, che ci obbliga a ritmi del 20% superiori al passato. In questi giorni stiamo facendo degli scioperi appunto per ridurre i carichi di lavoro, perché non ce la facciamo più adesso che abbiamo meno di 40 anni. A Melfi, a distanza di 13 anni dall’apertura della fabbrica, su 5mila operai ce ne sono mille con limitazioni fisiche causate dalle condizioni di lavoro. E’ impossibile pensare che un operaio possa andare avanti così fino a 60 anni».
Angelo Ciccone, segretario generale Orsa della manutenzione rotabili, lavora alla stazione centrale di Napoli: «Proprio ieri – premette – ho avuto una animata discussione con i miei compagni su questo argomento. Io penso che nel momento in cui questo governo non dovesse intervenire per impedire l’innalzamento dell’età pensionabile, la permanenza di Rifondazione nell’esecutivo non abbia più senso. Il fatto che si parli di un sistema di pensionamento su base volontaria ma che poi andrebbe a penalizzare fortemente chi va in pensione prima non è accettabile nel modo più assoluto, visto che già con la Dini gli importi degli assegni sono stati ridotti. Non è possibile che in passato le Fs abbiano mandato in pensione persone con 45 anni di età, concedendo abbuoni previdenziali, e oggi per andare in pensione si debbano aspettare 60 anni e forse più».
Pietro Mirabelli, minatore dentro la più lunga galleria d’Italia, nella tratta della Tav tra Bologna e Firenze: «Per 32 anni ho lavorato in tutte le gallerie d’Italia. In un certo senso sono figlio d’arte perché ho continuato il lavoro che faceva mio padre. Innalzare l’età pensionabile? Sfido chiunque – economisti, deputati – a fare 35 anni in galleria. Non vogliono nemmeno riconoscerci la condizione di lavoro usurante, malgrado tutte le polveri, le sostanze nocive che respiriamo. Ho visto tanti miei colleghi, anche giovani, perdere la vita a causa di incidenti. Passiamo gran parte della nostra vita lontano dalle nostre famiglie. Io ho 50 anni, se potessi andare in pensione domani ci andrei subito».
Stefano Di Vetta, docente di diritto e economia in un istituto tecnico commerciale di Roma: «Con 20 anni di servizio e 45 di età sono tra quelli che sicuramente andrà in pensione dopo i 60 anni, se non verrà cambiata la legge attua. Il fatto in sé non mi crea nessun problema. Vorrei però essere io a poter scegliere senza avere una pistola puntata alla tempia. Personalmente sono contrario a qualsiasi tipo di incentivo e anche di disincentivo. Certamente bisogna tener conto del tipo di lavoro che uno fa. Ci sono infatti mestieri che sono molto più pesanti e pericolosi per la salute di altri».