Pensiero unico. Il colonialismo moderno

Cara “Liberazione”, Marx ci ha insegnato che il pensiero dominante è il pensiero delle classi dominanti. Dopo un secolo e mezzo le cose sono peggiorate al di là delle più pessimistiche previsioni. Ora il pensiero unico ha sostituito il pensiero dominante per cui si è passati dall’interpretazione della realtà alla sostituzione di questa che, se non conforme al pensiero unico, viene semplicemente dichiarata come non esistente. Ecco un esempio, ovviamente schematico per ragioni di spazio. Sull'”Unità” di pochi giorni fa esce un articolo di Andrea Bajani, scrittore che vive a Torino, autore di due romanzi incentrati, se pure in modo diverso, sul mondo del lavoro e pubblicati ambedue da Einaudi. Il breve scritto parla della Romania e di come si sia organizzato il lavoro in quel paese dopo la caduta di Ceausescu (Natale 1989) soprattutto con l’apporto di capitalisti italiani. Bajani istituisce un paragone tra Pigafetta che, a partire dal 1519, compie viaggi e scrive “relazioni” da tipico colonizzatore; ma l’attuale colonialismo è peggiore di quello antico: «E pensavo alla differenza tra colonialismo di un tempo, che in qualche modo lasciava che selvaggi vivessero da selvaggi, e quello che avevo sotto gli occhi, che aveva bisogno di omologare i conquistati ai propri consumi». La conseguenza di un colonialismo così brutale è fin troppo ovvia: «non avrei pensato di sentirmi dare alcune risposte, come che quando c’era Ceausescu si pativa di gran lunga di meno la fame, rispetto agli ultimi anni». Apriti cielo! Il pensiero unico non ammette che in Romania, come in Russia, in Polonia, eccetera, i lavoratori potessero star meglio un tempo. Ecco che il “Corriere della sera” risponde a firma di un certo Dario Fertilio. Quest’ultimo scambia Bajani per un “inviato speciale dell’‘Unità'” e attacca: «Conclusione filosofica: stavano meglio quando stavano peggio […] bisognerebbe aggiungere, la pativano di meno [la fame] gli amici e i reggiborsa del partito di Ceausescu» il quale «per non lasciare spazio al consumismo, semplicemente aboliva i consumi e tagliava la luce elettrica nelle case». “Nekrassov” di Sartre è del 1955, un’epoca in cui il pensiero unico si stava organizzando. Per il giornale, nella cui redazione è ambientata la vicenda, le «massaie sovietiche che fanno la coda davanti a un negozio di generi alimentari» è impossibile che abbiano le scarpe: «Ma santo cielo, Bisognava almeno tagliar loro i piedi». Appunto, ai rumeni sfruttati, secondo il Fertilio, bisogna almeno tagliare la lingua.