Peace keeping con Israele? La Svezia dice «no»

La Svezia e la Norvegia sembrano decise a continuare nella ricerca di una pace giusta in Medioriente e quindi a smarcarsi dalla politica Usa di sostegno acritico ai progetti israeliani di annessione di buona parte della West Bank e di imbarcare lo stato ebraico, attraverso la Ue e la Nato, nello «scontro di civiltà» contro il mondo arabo e musulmano: a pochi giorni dalla decisione del governo di Oslo di ricevere il prossimo quindici maggio una delegazione di eletti di Hamas, è giunta ieri quella di Stoccolma di ritirarsi da un’esercitazione militare europea prevista per il mese di maggio in Sardegna, per via della, del tutto arbitraria, partecipazione anche delle forze armate di Israele.
Si tratta delle manovre per l’addestramento aereo «Spring Flag» che si terranno in Italia dall’8 al 25 maggio prossimi, alle quali avrebbero dovuto partecipare Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Israele, Norvegia, Olanda e Svezia, in preparazione di future operazioni di «mantenimento della pace». Notando il fatto che Israele non partecipa e non sembra probabile che parteciperà in futuro a nessuna operazione di «Peace Keeping» (in realtà la sua specialità è piuttosto quella del «Peace killing» nda) il governo svedese, come ha dichiarato ieri il portavoce della base aerea di Blekinge, Kent Loewing, ha dato disposizione ai suoi reparti di ritirarsi dalle operazioni congiunte.
Il no svedese ha fatto così emergere ancora una volta il tentativo dell’Amministrazione Bush di stringere sempre più i rapporti tra Ue, Nato e Israele in vista di una partecipazione di Tel Aviv nelle fila dell’Alleanza alla «guerra permanente contro il terrorismo» e contro ogni ipotesi di resistenza dei popoli del Medioriente ad una «pax israelo-americana» nella regione. Di questo ha parlato il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer nella sua visita a Roma, lo scorso febbraio, con Berlusconi, il presidente del Senato Marcello Pera e il ministro della difesa Antonio Martino. Una politica che soggiogherà ancor più l’Europa alla politica destabilizzatrice degli Usa e rafforzerà il governo israeliano nel suo rifiuto a trattare (ieri con Arafat e abu Mazen, oggi con Hamas) e a ritirarsi sui confini del 1967, e che infine schiererà la Nato a fianco di future avventure repressivo-belliche (come la rioccupazione di parte di Gaza o un attacco all’Iran) portate avanti da Tel Aviv.
Il progressivo stringersi dei rapporti tra Israele e la Nato, senza che i parlamenti nazionali abbiano mai discusso un tema così ricco di implicazioni, ha già fatto alcuni importanti passi: il memorandum israeliano alla Nato del febbraio scorso; il viaggio a Tel Aviv di Jaap de Hoop Scheffer (il primo in Israele di un segretario generale dell’Alleanza); la partecipazione di Israele alle esercitazioni di sottomarini, con potenziale nucleare, al largo delle coste italiane nel giugno scorso; l’arrivo di un ufficiale di collegamento israeliano al quartier generale di Napoli. Ma forse il passo più critico in questo senso, che il governo dell’Unione non potrà non rivedere, è stata la firma da parte dell’Italia del trattato di cooperazione militare con Israele. Un’intesa che coinvolge il nostro paese nelle avventure militari di Tel Aviv, rende possibile una cooperazione nella ricerca scientifica a scopi bellici con un paese che non ha firmato e viola sistematicamente il trattato di non proliferazione nucleare e che infine aggira la legge 185 sull’esportazione di armamenti. Il tutto sotto la cappa del «segreto militare», senza alcuna possibilità di controllo da parte del parlamento stesso.