Ero al Palalido di Milano quando Prodi, settimane fa, illustrò il suo progetto. Due punti erano posti al centro del suo discorso: l’impresa e la famiglia. Fu naturale domandarmi: «perché mai lo dovrei votare?». La sera stessa mi capitò di ascoltare Berlusconi e allora capii di essere posto, ancora una volta, nella condizione obbligata di dover sostenere il “meno peggio” pur di cacciare il peggio. Però su quel palco c’era anche il nostro Segretario e, ancor oggi, mi chiedo quali siano state mai le garanzie minime ottenute per salirvi? Tuttora non ho la risposta e non la trovo certo in qualche candidatura di scambio, semmai la dovessimo strappare. Giro la domanda (quali garanzie?) al 6° Congresso che deve dirci “con chi e per fare che cosa” mandare a casa Berlusconi. E’ il punto: ineludibile. Temo invece un congresso dove il punto verrà diluito in più rivoli – dalla nonviolenza alla lotta allo stalinismo – al solo scopo di “blindare” una maggioranza di cui mi sfugge la strategia ma che sarà duttile a tutte le tattiche. Temo perciò un congresso dove si chieda solo un voto di fiducia per avere il monocolore del Segretario. Non va bene. Cocciutamente ritorno al punto ineludibile dove, a differenza di altri che sostengono che mai i comunisti possano far parte di un governo della borghesia, e a differenza di altri ancora che sostengono sia obbligatorio accedervi per la sopravvivenza stessa del Partito e, costoro aggiungono, in quanto ai contenuti, sarà poi il movimento a dettarli al Governo, ebbene mi ritrovo con quanti pensano invece che Berlusconi si debba cacciare ma solo sulla base di un progetto di cui i comunisti, in raccordo con i movimenti, possano condividere ora almeno qualche punto fondante. Chiedo troppo al 6° Congresso o chiedo il minimo a un Partito che uscì da sinistra dal Governo Prodi e non può che rientrarvi da sinistra? Ma i tratti di quella sinistra siano netti al fine di un’alleanza duratura: patti chiari, amicizia lunga. Ora ci si dice che questa posizione porterebbe ad una, oggi indicibile, desistenza. Non lo so: so solo che finora stiamo praticando la “desistenza programmatica” nei confronti di una Gad che, per stare al merito da cui si sfugge sempre, sulla legge 30, ad esempio, pensa solo di addolcirla ma le privatizzazioni pensa addirittura di accelerarle. Di questo non si discute, parliamo solo di candidati e di primarie con uno scarto fortissimo tra il nostro dibattito e la realtà. Dovremmo invece attrezzarci per sconfiggere, o almeno contenere, quel “modernismo riformista” che è la linea di condotta della Gad. Come? Bisogna tornare subito a dar voce a quegli 11 milioni di persone che votarono per l’estensione dell’articolo 18 ma che, una volta votato, sono stati allontanati dalla politica-palazzo. Dar loro voce vuol dire produrre una scelta precisa: porre il lavoro al centro del programma per una alleanza duratura. E, di converso, porre il lavoro al centro del 6° Congresso di Rifondazione. Che comunisti saremmo mai noi se non cogliessimo il fatto che Berlusconi fa, lui sì, lotta di classe facendo leva non solo sulla proprietà vincente e la mercificazione del tutto ma sulla delusione di grandi masse proletarie che ancora non capiscono che cosa faremmo mai noi per loro una volta – cosa non data – al Governo? Esercitiamoci perciò in “pensieri lunghi” e parliamo di piena occupazione e lavoro certo (altra cosa rispetto al salario minimo garantito), salari e pensioni rivalutati, episodi di controllo pubblico dell’economia. E, se proprio vogliamo parlare anche di primarie, allora facciamole ma non per questo o quel candidato, ma per una nuova scala mobile, a sostegno della quale tornerebbero a votare quegli 11 milioni di persone dimenticate dopo il referendum sull’articolo 18. Altroché sentirmi dire «voi volete la desistenza!». C’è da fare il gran salto di qualità, altrimenti non capirei cosa andremmo domani a fare in un Governo che oggi si configura lontano non solo da Zapatero ma anche dal vecchio Ugo La Malfa.