Patriot Act, rinnovo breve

Come non detto. Il Congresso degli Stati uniti non ha concesso la proroga di sei mesi del Patriot Act, che doveva permettere di ridiscutere la legge che dà poteri assoluti al presidente degli Stati uniti nella lotta al terrorismo. Invece c’è una proroga di cinque settimane, che non basteranno a ridiscuterlo come si deve. E’ il risultato di una delle giornate più caotiche che la recente storia parlamentare americana ricordi. Fino al tardo pomeriggio di giovedì era dato per scontato che la Camera si allineasse al Senato nella proroga di sei mesi del Patriot Act. Dopotutto, le discussioni al Senato fra i democratici che volevano la proroga breve e i democratici ligi alla Casa Bianca che la volevano permanente, avevano impegnato tutta la Washington politica, quindi anche i deputati, che si erano mostrati d’accordo. Forti di quella convinzione, molti erano partiti per i rispettivi Stati, lasciando a Washington una sparuta pattuglia di colleghi con l’incarico di «armonizzare» la decisione della Camera e quella del Senato.

Ma hanno fatto i conti senza il deputato repubblicano James Sensenbrenner, un fiero sostenitore di Bush noto soprattutto per l’abitudine di strozzare sul più bello i dibattiti che si svolgono nella commissione Giustizia che lui presiede. Per lui, il compromesso sui sei mesi raggiunto al Senato era una vergogna, un «cedimento» ai democratici, e andava boicottato.

La Camera era semideserta, per un vero dibattito mancavano sia le persone fisiche sia anche il tempo. Così, con un colpo di mano, Sensenberger propone a sorpresa una proroga infinitamente più breve, cinque settimane, e chiama i pochi colleghi presenti ad approvarla per acclamazione. La proposta passa e parte per il Senato – come vuole la procedura – per la nuova «armonizzazione». Ma il Senato a quel punto non c’è più, i suoi membri sono tutti sugli aerei che li stanno portando a casa ai quattro lati degli Stati Uniti. Che fare, per evitare un ritorno generale a Washington? La soluzione si chiama John Warner, il pacato (salvo quando celebra la festa scozzese in gonnellino e danza sfrenata) presidente della commissione Forze Armate del Senato, che non era andato via di corsa perché abita in Virginia, cioè alla periferia di Washington. In una scena surreale, Warner ha «presieduto» la seduta del Senato di cui era l’unico partecipante e ha «approvato all’unanimità» la proroga del Patriot Act per cinque settimane. Più, tardi, la Casa Bianca ha fatto sapere che Bush firmerà in tempo utile, augurandosi che il nuovo tempo a disposizione consenta di avere finalmente il rinnovo «vero» del Patriot Act.

Una storia buffa che avrà però una conseguenza molto seria: il tempo per l’auspicato dibattito approfondito non ci sarà e l’approvazione dovrà ancora una volta avvenire con l’acqua alla gola. Il calendario di gennaio della commissione Giustizia del Senato, infatti, prevede già due cose assai impegnative: la conferma di Samuel Alito alla Corte Suprema (da quando Bush lo ha nominato se ne sono sapute tante da caratterizzarlo come un nemico giurato dell’aborto), e le audizioni sulla spinosissima faccenda delle intercettazioni telefoniche sui cittadini americani, ordinate da George Bush aggirando la magistratura.

Ma di storia buffa ce n’era un’altra, ieri, ed era la «lista dei risultati nel 2005» diffusa dalla Casa Bianca. L’anno che ha visto nascere e rapidamente morire la riforma delle pensioni proposta da Bush (l’aveva indicata come il suo obiettivo primario); il biasimo generale per la gestione della tragedia di New Orleans (la ricostruzione non è neppure cominciata); l’ennesima bocciatura, proprio tre giorni fa, delle trivellazioni petrolifere in Alaska (il presidente ci prova da cinque anni) e un calo verticale del consenso presso il pubblico che nessuno dei suoi predecessori ha mai visto nell’anno della loro rielezione – tutto questo viene descritto dalla Casa Bianca in sette paragrafi come un anno di successi strepitosi.