“Partito, sul merito dei problemi si marcia a vista”

Il compagno Caprili polemizza col compagno Grassi sulla politica di partito. Dal momento che il nostro giornale ha chiuso tre mesi fa (per la verità in modo un po’ brusco) una disputa su congresso e post congresso quando invece questo è un tormentone in tutta Italia, e l’ha fatto con un invito per altro giusto a ritornare sui “problemi”, spero di avere il diritto di dire qualcosa anch’io.
Proprio di “problemi” scrivevo il 15 marzo al nostro direttore Sansonetti. A me non interessano più di tanto i risvolti correntizi delle dispute in corso se non sono riportate ai contenuti. Non ci trovo più né gusto politico né interesse culturale. Parlare di contenuti è l’unico modo per fare chiarezza, nel consenso e nel dissenso; sarebbe un modo persin salutare (cioè per la salute) del partito.
Nove mesi fa mi capitava di scrivere sul nostro giornale quel che ora dice il mio amico Asor Rosa: dodici correnti (di cui cinque a casa nostra) non è più “fisiologico” è “patologico”. Questo non ha nulla a che fare con la vera dialettica che esigerebbe qualcosa di molto diverso dalle correnti cristallizzate.
E visto che Caprili chiude l’articolo sottolineando opportunamente “metodo” e “merito”, incomincio con un rilievo: chissà perché quando questo opportuno rilievo viene da un docente universitario, mio amico e compagno da molti decenni, appare come una ammirabile scoperta e quando lo dico io sono un “ingenuo”, il che in politica significa pressapoco “fesso”. Si formano strane gerarchie di valore in questo partito e forse nuovi ceti politici. Questo sul metodo. E veniamo al merito. Dico subito che condivido quel che scrive Caprili a proposito del rapporto fra contenuti, movimenti e impegno istituzionale; così come da sempre son convinto dell’esigenza di cogliere i contenuti dei movimenti a volte più approfonditi dei nostri ma a volte sui quali dovremmo svolgere un ruolo di partito, cercare di superare segmentazioni e separatezze per unificare. Ma a questo punto vogliamo proprio fingere di non accorgerci che nel merito, cioè sui problemi si “marcia a vista”, talvolta con genericità e contraddittorietà che lasciano disarmato il partito? Caprili è stato con me anni addietro deputato; ricorderà le accese discussioni su politiche industriali, certo non facili e non univoche nell’allora Pci. Ma almeno c’erano modi e sedi per discutere.
Cosa dicono oggi le sinistre sulle politiche industriali? Alla Fiat? Giustamente un ingresso di capitale pubblico come si sostiene a Torino per auto-innovazione e per diversa struttura del trasporto collettivo o come dice Fiom di Milano, dopo aver risanato, ritorno al mercato, ripetendo la logica di Beneduce “privatizzare i profitti” “socializzare le perdite”? Cos’è oggi per noi politica industriale? Interventi di settore? Interventi per fattori produttivi? Interventi per strutture e con quali controlli sindacali e istituzionali? Rottamazione? Sulla quale anni addietro Rifondazione votò una volta sì e una no?
Sulla formazione professionale. Altissima la percentuale di giovani e non interessati nelle varie modalità. Se non abbiamo una concezione elitaria del sapere – per cui “scuola” è quella di chi va all’università – dovremo pure affrontare questo problema. Nuovi saperi? Nuovi contenuti? Armonizzazione Nord-Sud per contenuti didattici e ore dei corsi se non si vuole che passi il disegno nordista-leghista di formazione di qualità al nord? Qui, malgrado i lodevoli sforzi di Loredana Fraleone, dove stanno i giovani comunisti? Le federazioni di partito? Quando si avrà un rapporto con un solo apprendista sarà per me un grande risultato! Sulla “riconversione” dal bellico al civile iniziative importantissime in Lombardia e in Piemonte attorno all’Ecoistituto con impegni trasversali, cattolici, Pax Christi, Fim Cisl-Fiom. Ma quale sostegno e sbocco anche parlamentare oltreché di movimento dà il partito a questa grossa questione di “violenza dei più forti e prepotenti”? C’è uno scollamento pauroso. Ci sono potenzialità preziose che vivono segmentate. Bertinotti ha opportunamente detto che l’alternativa si fa nel fare e col fare. Fare è “esecutivo”. Cosa sono questi esecutivi monocolori? Vogliamo darci una “dritta”?