Partiti, Tv e giornali non lo sanno ma oggi i metalmeccanici scioperano

Confindustria vuole un contratto che annulli i diritti del lavoro. La sinistra è distratta o intimidita. Sul contratto delle tute blu si gioca il futuro dell’Italia

I metalmeccanici sono persone bene educate. Forse troppo. Dopo 9 mesi senza rinnovo del contratto, con i profitti che crescono e i salari che calano, scioperano oggi in tutta Italia, nell’assordante silenzio della grande stampa d’informazione, del resto in gran parte a proprietà industriale, e – cosa ancor più grave – della politica.
Se si grida allo scandalo per come la televisione tratta il confronto politico, che si dovrebbe dire allora del totale silenzio sullo sciopero di due milioni di persone? Su questo non ci risultano proteste dei leader degli schieramenti. Eppure niente tocca più direttamente la politica, come lo sciopero della principale categoria industriale.

Prima di tutto per una questione di giustizia, parola questa usata oggi così a sproposito.

Nei manifesti dei sindacati metalmeccanici di Torino fa bella mostra di sé la busta paga di un’operaia metalmeccanica di III livello. Sono poco più di 950 euro netti al mese. Si lavora a turni, alla catena di montaggio, con ritmi sempre più stressati. Poi si va a casa, si deve pensare alla famiglia, ai figli, alla fine del mese, che con quella paga arriva il 15. Si potrebbero fare delle belle riflessioni su cosa sono oggi “di fatto” le famiglie operaie, quanto sia diventata difficile la loro vita quotidiana.

Il sindacato rivendica un aumento di 130 euro, 115 per il III livello, e per lavoratori che hanno queste paghe, tali richieste sono considerate incompatibili. Gli industriali hanno risposto con 60 euro non trattabili.

Il solo fatto che si debba scioperare per ottenere cifre di questo genere, al lordo delle tasse e dei contributi, nell’Italia delle plusvalenze, dei super stipendi dei manager, dei superprofitti, delle ricchezze sfacciate ed esenti dal fisco, solo questo dovrebbe suscitare un moto generale di condanna. E invece no. Il sottosegretario al lavoro, che vive con l’incubo della Fiom come il suo presidente con quello della magistratura, insulta i sindacati e i lavoratori. L’esponente del governo sostiene che il contratto non si fa per colpa dei sindacati, Fiom in testa, perché non accettano di far lavorare di più i lavoratori.

E’ vero. La Federmeccanica pretende, per poter aggiungere qualche euro alle sue offerte, che si mettano in discussione quelle poche regole rimaste, che ancora pongono qualche limite agli orari di lavoro. Bisogna che voi lavoriate 60 ore quando il mercato tira e stiate a casa quando non serve. E le rsu, le rappresentanze sindacali dei lavoratori, non possono rompere le scatole pretendendo di discutere e contrattare in azienda. Questo è quello che gli industriali rivendicano come flessibilità, che poi significa il potere per le imprese di far fare ai lavoratori quello che esse vogliono, quando lo vogliono. Nessun sindacato serio può accettare questo. Ma per il governo sono i rappresentanti dei lavoratori che non vogliono fare il contratto. E’ una vergogna, visto che tra i metalmeccanici i rischi di salute e sulla sicurezza sono enormi. Nelle fabbriche si muore o ci si ferisce gravemente con un’intensità indegna di un paese civile, e gli orari e i ritmi di lavoro stanno raggiungendo i limiti della resistenza umana.

Ma il contratto non si fa e la Confindustria, quella avanzata e riformista di Luca di Montezemolo, fa proprie e generalizza, nel suo ultimo documento, le posizioni della Federmeccanica. Così gli industriali pretendono di ridurre ancora il salario garantito nel contratto nazionale e di aumentare quello incerto e flessibile. Vogliono far lavorare di più e contrattare di meno. Esigono di colpire con sanzioni chi sciopera per i propri diritti.

In un paese normale l’arroganza della Federmeccanica, le posizioni sfacciatamente autoritarie della Confindustria, susciterebbero condanna e indignazione. E invece no, anche qui silenzio e comprensione. Si sa, il mondo del lavoro è parte delle logiche del mercato e della competitività, è una merce e come tale non ha diritto a piena soggettività politica.

E poi i metalmeccanici sono gente strana. Essi hanno sviluppato la cattiva abitudine di votare con i referendum sulle piattaforme e sugli accordi. Anche la piattaforma su cui oggi si sciopera è stata votata da quasi 600.000 lavoratori. Ma che scherziamo, votare sui contratti? Ma cosa vogliono questi metalmeccanici, la democrazia?

I metalmeccanici sono naturalmente portati alla solidarietà. Certo, questa non sempre è facile, quando la stessa azienda, lo stesso padrone, domandano allo stato la cassa integrazione e nel reparto vicino chiedono gli straordinari. E’ difficile oggi stare tutti assieme. Eppure, in tempi di devolution, i metalmeccanici ci provano. Ci provano a tenere assieme, in tutta Italia, i lavoratori delle fabbriche che vanno meglio con quelli delle aziende in crisi, il Nord con il Sud, la piccola e la grande azienda, i più forti e i più deboli. Ci provano ad affermare il principio che c’è una dignità salariale che deve essere garantita a tutti, che non può essere vincolata al supersfruttamento della produttività. Una dignità che nasce da principi fondamentali contenuti nella Costituzione, come tanti altri oggi aggirati ed offesi.

I metalmeccanici sono il lavoro e la democrazia e per questo se la passano male. Con loro però se la passa male anche il paese. Ecco, se non servono le ragioni della giustizia, almeno quelle più concrete della politica economica dovrebbero convincere.

Vogliamo ancora una volta competere con gli altri sui bassi salari e sullo sfruttamento? Per questa strada non si va da nessuna parte, ma questa è la via che percorrerà il padronato italiano se non si costruirà un’altra politica. Se, al di là delle chiacchiere su innovazione, ricerca, qualità dei prodotti, non si porrà un freno al degrado del lavoro, non cresceranno i salari, non torneranno in campo politiche economiche governate da un’idea positiva della crescita. L’arroganza degli industriali affonda le sue radici in tutti i mali profondi della crisi italiana, un buon contratto dei metalmeccanici sarebbe una buona leva per far crescere davvero l’economia e la società.

Che il governo Berlusconi sia schierato con gli industriali non stupisce. Ciò che fa arrabbiare è che lo schieramento avverso, tranne che la sinistra radicale e in particolare Rifondazione, parli d’altro. Cari amici del centrosinistra, ma lo volete capire o no che senza i metalmeccanici non andate da nessuna parte? Datevi da fare, allora. Provate almeno una volta a dire una cosa chiara, che i sindacati hanno ragione e la Federmeccanica e la Confindustria hanno torto. Ve lo chiederemo ancora, nei prossimi giorni, se le cose non cambiano. Lo chiederemo a tutto il paese, con la stessa determinazione di questi mesi, ma con un po’ più di rabbia. Sì, finora i metalmeccanici sono stati molto bene educati, ma adesso la misura è colma e se non si fa il contratto si arrabbiano davvero.