Parole in nero

A cercare i segni di continuità con il passato della destra italiana, si potrebbe forse compilare un lungo e noioso elenco di frasi, gesti, stili rivendicati con orgoglio, ma anche con un certo gusto per il folklore e il cattivo gusto. Ma più che alla ricerca delle frasi ad effetto, come quella definizione di Mussolini come il più grande statista del secolo appena trascorso data da Gianfranco Fini solo qualche anno fa, varrà la pena inoltrarsi nelle costanti culturali, in quelle linee interpretative delle cose del mondo, che emergono nel panorama delle “destre plurali” italiane anche quando queste ultime cercano di fare uno sforzo teorico e progettuale. Non nella riemersione del passato e dei suoi fantasmi queste destre trovano oggi la ragione dei loro successi, tutta moderna o forse “postmoderna” è la radice del loro radicamento, della loro presa sulla società italiana. E’ in questo carattere di novità che è interessante leggere la sovrapposizione con vecchie tradizioni politiche, con un armamentario ideologico che rimanda al passato, senza volervi cogliere l’unico tratto di identificazione della destra di oggi. I nodi tematici da prendere in esame potrebbero essere molti, ma forse quello articolato intorno alla parola chiave dell'”identità” e del suo sviluppo verso la cultura, la demografia, l’immigrazione può rappresentare simbolicamente il cuore di questa destra. Tenendo presente che gli esempi citati dal passato non valgono necessariamente come paragoni diretti con quanto scritto oggi a destra, quanto come segnali di un clima culturale, della cui costanza ciascuno potrà trarre il giudizio che crede.
L’ultimo punto del famigerato Manifesto della razza redatto nel 1938 dal regime fascista e destinato a tradursi in una legislazione conseguente, aveva per titolo “I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo”. Il testo completo di quel decimo e conclusivo articolo di un testo che si apriva con l’affermazione perentoria “Le razze umane esistono”, spiegava: “L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”.

“La razza italiana”
Nelle tesi preparatorie della Conferenza Programmatica di Alleanza Nazionale, svoltasi a Verona nel 1998 e presentata come la seconda “svolta” degli ex missini dopo Fiuggi, l’affermazione che fa da sfondo all’intero testo riguarda lo stato di “decadenza” dell’Italia a cui, nelle ultime righe, si risponde auspicando una “tutela della identità culturale della nostra nazione e del Vecchio continente (…) lungo i tracciati di valori tradizionali”. An denuncia come il sentimento e l’identità nazionale siano in crisi e in pericolo, e nella seconda parte del documento, che tratta di quella che viene definita “dinamica demografico-culturale”, precisa da quali rischi ci si debba guardare maggiormente.
“Il tema dell’identità culturale si intreccia (…) con la dinamica demografica (…) l’affievolimento quantitativo di alcuni popoli, l’esplosione incrementale di altri, i trasferimenti territoriali che tendono ad assumere carattere di massa, pongono inoltre con intensità, che rischia di diventare prepotente e destabilizzante, il tema del rapporto tra visioni culturali assai diverse, espressioni di realtà etniche che finiscono per trovarsi a contatto in contesti ambientali diversi da quelli storicamente consueti (…) An sa che il popolo italiano è parte fondante, insieme ad altri popoli europei, di una identità civile, giuridica, estetica, etica, filosofica, che non merita (…) di dissolversi o di essere dissolta in una indistinta, magmatica miscellanea pseudoculturale…”. I segni della tradizione culturale italiana “sarebbero definitivamente compromessi se un indiscriminato pulviscolo multietnico, una scomposta babele pluriculturale impedissero di vederli, osservarli e amarli in base alle premesse di pensiero che ineriscono al loro proprio contesto culturale”.
Nel 1927 il regime fascista lancia la cosiddetta “battaglia demografica” o, come si definì anche all’epoca, “popolazionistica”. Lo stesso Mussolini spiegherà come “il destino delle nazioni è legato alla loro potenza demografica”, parlando anche di una razza bianca “sommersa dalle altre razze di colore”. A più riprese il Duce tornerà sull’argomento, divenuto centrale nella propaganda familiare del fascismo, con questi toni: “L’Italia, per contare qualche cosa (deve raggiungere) una popolazione non inferiore ai sessanta milioni di abitanti (…) se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia”.

“Fate più figli”
Tornando alle tesi di An a Verona del 1998, dopo aver stabilito un nesso inscindibile tra “natura e cultura”, tra “demografia e identità”, si tratta di operare “perché il profilo culturale dell’Italia e dell’Europa mantenga la sua riconoscibilità”. Nel paragrafo che ha per titolo “Un Paese sterile e vecchio”, la minaccia all’identità, ai valori nazionali, diventa direttamente demografica, si parla di numeri. Si descrivono “i livelli di fecondità che ormai da tempo si registrano in Italia, che per qualche anno sono stati i più bassi del mondo e, con ogni probabilità, i più bassi mai registrati nella storia dell’umanità, per una popolazione di larghe dimensioni (…) un rialzo della fecondità italiana (…) sembra del tutto auspicabile (…) occorrerebbe che circa una donna su quattro avesse un terzo figlio, mentre l’Italia va muovendosi verso il modello del figlio unico”. Per modificare la situazione vengono avanzate diverse proposte concrete, ma viene soprattutto indicato un nuovo approccio all’argomento che possa “rivitalizzare la famiglia” definita come una “realtà in declino”, come ad esempio il “ridare valore collettivo alla procreazione e al figlio, oggi ridotti ad avere soltanto un valore per la coppia genitoriale”.
Nella sua introduzione all’edizione italiana del 1937 dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, Julius Evola scriveva come in quel testo, basilare per buona parte delle teorie antisemite successive e con ogni probabilità compilato dai servizi segreti dello Zar Nicola II, si potesse trovare “un sicuro filo conduttore per scoprire il significato unitario più profondo di ogni più importante rivolgimento dei tempi ultimi”. Nel primo “protocollo” di questo pamphlet redatto in forma di programma per un complotto ebraico di dominio sul mondo, si può leggere: “Trionferemo ed assoggetteremo tutti i governi al nostro super-governo (…) Anche nel passato noi fummo i primi a gettare al popolo le parole d’ordine ‘libertà, uguaglianza, fratellanza’. (che) tolsero al mondo la prosperità ed all’individuo la vera libertà personale (…) Nel frattempo queste parole rodevano, come altrettanti vermi, il benessere dei cristiani e distruggevano la loro pace, la loro costanza, la loro unione, rovinando così le fondamenta degli stati”.

“Odiato cosmopolitismo”
In un documento prodotto nel 1998 dagli “Enti Locali Padani Federali” della Lega Nord e intitolato Padania, identità e società multirazziale si può leggere come esista una sorta di progetto sovranazionale che, come per la pubblicistica del neofascismo più estremo, viene definito “mondialista” e che cercherebbe di distruggere tutte le identità nazionali e culturali.
“L’ideologia mondialista che favorisce l’immigrazione extracomunitaria – si può leggere nel testo leghista realizzato – vuole negare l’esistenza di popoli e nazioni, sostenendo un cosmopolitismo individualista di massa che sgretola le identità e i sentimenti di appartenenza territoriali (…) Gli orfani del marxismo e della dittatura del proletariato in salsa cattocomunista, convertitisi oggi al Mondialismo, proseguono in tal modo la loro sottile opera di distruzione della civiltà europea, utilizzando l’immigrazione come grimaldello e futuro elemento di destabilizzazione e caos (…) I mondialisti cercano di spezzare ogni senso comunitario (…) Cancellando la memoria della propria storia e la consapevolezza dei doveri verso i propri discendenti, un popolo perde la sana facoltà di distinzione del medesimo e dell’altro” Perciò coloro che si oppongono all’immigrazione “sono assimilibali a dei partigiani che resistono contro l’occupazione di forze armate straniere”.