«Parentesi chiusa, torniamo al conflitto»

La gestione unitaria la riproporrà a settembre e continuerà a proporla anche «unilateralmente», e «con incarichi seri». Per il momento Paolo Ferrerò, eletto domenica segretario di Rifondazione comunista sulla base di un documento -«Ricominciamo: una svolta a sinistra» – votato da quattro mozioni, prende la guida di un partito profondamente lacerato. Diventi segretario per rilanciare Rifondazione. Un compito non facile, dopo il terremoto elettorale e dopo un congresso che ha spaccato in due il partito.
La gestione unitaria sarà riproposta sempre e comunque. A mio parere, nessuno si deve sentire ospite nel Prc, il partito è la casa di tutti. Inoltre, per rilanciare Rifondazione dobbiamo agire con determinazione per applicare la linea politica che ci siamo dati e che ha il suo punto fondamentale nel rimettere il partito al lavoro nella società e costruire l’opposizione sociale e politica al governo Berlusconi e alle proposte di Confindustria.

Non era possibile fare una sintesi unitaria al congresso? E’ meno ambigua la maggioranza che si è costruita con le altre mozioni? Non c’è già chi dice di uscire dalle giunte o chi vorrebbe la Costituente comunista che tu avevi escluso?
La Costituente comunista non c’è in nessuna delle mozioni. Il congresso doveva decidere una linea politica, un partito senza linea politica non vive. Con la mozione Vendola c’erano due punti di differenza secca. Il primo: dopo la sconfitta dell’Arcobaleno, bisogna andare avanti sul piano della politica come nei due-tre anni precedenti, con una linea di relazione significativa col Pd o di nuovo centrosinistra oppure svoltare a sinistra? Io penso che fosse necessaria una svolta a sinistra che si basa sull’analisi del perché abbiamo perso. La sinistra unita ha ottenuto il risultato più basso nella storia dell’Italia post-unità, perché per come si è presentata non si capiva la sua utilità sociale. Bisognava proporsi con chiarezza come sinistra di alternativa e non di dialogo forte col Pd. L’Unione è fallita, bisogna prenderne atto.

Il secondo punto di differenza: dopo la sconfitta bisognava agire un processo unitario a sinistra superando Rifondazione, diluendo e facendo venir meno gli elementi di riferimento al comunismo oppure ripartire dal progetto della rifondazione comunista come idea strategica? Anche su questo c’erano due opinioni diverse.
Su questo si è deciso il congresso, su questo era giusto decidere e su questo c’è stato l’accordo tra quattro mozioni. La mozione finale dice che è chiusa la fase che si era aperta a Venezia sull’accordo di governo e col Pd; si riparte dal progetto di Rifondazione; è necessario rimettere Rifondazione nella società; è necessaria una svolta a sinistra, con un livello più alto di autonomia dal Pd. Su questo oggettivamente eravamo divisi.

Sull’autonomia del sociale?
Non è autonomia del sociale, «in basso a sinistra» è una citazione del compagno Marcos, andava bene qualche anno fa non capisco perché non vada bene ora…

Hai detto che nessuno si deve sentire ospite, ma quando parli del rischio di sparizione degli elementi di comunismo viene in mente quando, al momento del tuo intervento, una parte dei delegati si è messa a cantare Bandiera rossa come se considerasse l’altra parte, più ancora che ospite, come estranea.
Non si può confondere la dinamica di un’assemblea con quella che è la quotidianità della vita di un partito. Leggere il canto di Bandiera rossa come momento di esclusione secondo me è sbagliato. Credo che di fronte all’esito annunciato, al fatto che i mass media stavano tutti da una parte, c’era il fatto di dire «esistiamo», «ci siamo». Ho visto in quei cori, anche quando c’era chi gridava «Nichi, Nichi» o fischiava al momento della mia proclamazione, il riconoscimento della comunità, della battaglia politica. Ma era un clima da scissione. Certo, la comunità è divisa, il congresso ha diviso moltissimo il partito. Ma oggi queste differenze sono più marcate nel gruppo dirigente. C’è chi dice che è la fine di Rifondazione, ma le cose che abbiamo deciso come linea politica sono la chiusura di una parentesi catastrofica, quella del governo con la sinistra moderata che si è dimostrata impermeabile alle istanze sociali. A Venezia è stato detto che l’alternanza è il primo passo per l’alternativa, invece è il primo passo per il disastro. Riproponiamo il cammino dell’alternativa. Non riesco a capire dov’è lo stravolgimento. Sarei identitario? E’ una caricatura, tutti i commenti vanno nella stessa direzione: un accordicchio di potere che mischia tutto, tardo stalinista… E’ quasi ridicolo.

Pierluigi Bersani dice che alla conferenza programmatica di ottobre il Pd deve «fare un richiamo all’elettorato disamorato della sinistra radicale».
Berlusconi va avanti come un treno, sarei felicissimo di subire un’enorme concorrenza a sinistra da parte del Pd e se la Cgil non firmasse un accordo sul contratto che è un peggioramento secco degli accordi di luglio. Sarebbe il primo esito positivo del congresso.

Alcune forze come Sinistra democratica o i verdi non potrebbero finire nelle braccia del Pd?
Abbiamo visto, e ci metto dentro anche noi, il peso nel paese del ceto politico. Più che di politicismo preferirei parlare del perché la destra ha un’egemonia così forte nella società. Ma ci sono anche le elezioni, e per le europee c’è anche il problema dell’eventuale innalzamento della soglia di sbarramento. E allora chiederemo a Berlusconi di non farlo o a Veltroni di opporsi… Il vero problema politico è come si batte la destra populista. Dopo il venir meno del movimento no global a interpretare la crisi del neoliberismo restano le destre populiste. Berlusconi e Tremonti ci hanno detto «stiamo entrando nella crisi» e si sono messi in sintonia con il sentimento di massa. Hanno detto che la coperta è corta e loro difendono il fatto che fuori resteranno i piedi di qualcun altro, l’immigrato, lo zingaro, il diverso. Entrando in sintonia con con un sentimento diffuso di paura, la destra salda politiche sociali e securitarie. In questo quadro il Pd dice cose di liberismo temperato che non rispondono a nessuno dei problemi. Il ruolo storico della sinistra è la ricostruzione del conflitto, delle vertenzialità, del mutualismo. Costruire il conflitto del basso verso l’alto invece che quello dei penultimi verso gli ultimi e la costruzione di comunità solidali, non escludenti. Sono stato accusato di autonomia del sociale, è una pirlata. E’ perché chi mi accusa pratica l’autonomia del politico.

Qualcuno direbbe anche che il vostro è minoritarismo.
Io invece penso che nella storia del movimento operaio il concetto di politica riguarda la rappresentanza, la costruzione del conflitto, le pratiche solidali oggi drammaticamente assorbite sul piano della rappresentanza. Io non propongo di abbandonare la rappresentanza, ma di aumentare il peso sugli altri versanti. Sono questi gli unici terreni sui quali si può lavorare a costruire l’unità della sinistra, altrimenti siamo ceti politici che galleggiano come una pallina da ping-pong sulla superficie dell’acqua. Oggi i problemi sociali sono vissuto come un dramma individuale, non come un problema politico. Se qualcuno perde la casa si vergogna, ci hanno colonizzato l’universo simbolico, abbiamo il problema di riuscire a far riprendere la dimensione collettiva dei problemi sociali. In questo senso maggior autonomia dal Pd non c’entra con maggior grado di polemica col Pd. E’ il presupposto per non farsi risucchiare nell’universo opaco di questa politica. Abbiamo 57 mesi di opposizione davanti, visto che un congresso si fa ogni tre anni, almeno che nei prossimi tre anni si faccia questo lavoro nella società. Hai parlato del venir meno del movimento no global, il sindacato è nell’angolo. Insomma, ripartire sarà complicato.
Penso che sia importantissimo il fatto che stia partendo un’aggregazione di sinistra sindacale. La situazione è tutt’altro che stabilizzata, in autunno sarà possibile costruire momenti di lotta. L’operaio che ha votato Lega è forse disponibile al conflitto perché il salario è quello suo. Il lavoro va fatto unitariamente, con comunisti, ambientalisti, partiti, non partiti… Con una manifestazione ma non solo. Mettendo in piedi una campagna referendaria sulla legge 30, la democrazia, la Fini-Giovanardi sulle droghe. E aderire al referendum sul lodo Alfano non lo considererei sbagliato. La questione morale non va lasciata a Di Pietro. E a chi mi chiede il perché di un richiamo così forte al comunismo rispondo citando quello che diceva Lucio Magri a proposito di Rifondazione comunista: i due termini si qualificano a vicenda, l’uno senza l’altro perde significato, oggi più che ieri.