La preda scivola sotto la presidenza alle ore 20 e 35. «Sì» dice piano il senatore Luigi Pallaro. «Sì» ripete forte il segretario che tiene il conto. «Fottuto» gridano dai banchi della destra. Ma è tardi. Il senador dei due mondi, quel canuto oggetto del desiderio nato a Padova e arricchitosi in Argentina che si è lasciato inseguire per una settima esatta, alla fine è arrivato nell’aula del senato, ci è stato dieci, dodici minuti, poi ha votato per tenere in vita ancora un po’ la maggioranza. Anzi, come dice lui, la «majoria».
La conta degli acciacchi
A guardarla dall’alto l’aula del senato è piena di sosia di Luigi Pallaro. Nel lungo pomeriggio persino la chioma bianca della senatrice a vita Levi Montalcini, arrivata poco prima in aereo da Dubai, a tratti sembra quella del senatore italo argentino. Egidio Sterpa è un altro sosia perfetto. Loro ci sono, confondono l’attesa dei senatori della maggioranza, ma Pallaro sta nascosto tutto il tempo. Preoccupa la sua sintonia con Andreotti. Il quale ha deciso di non partecipare al voto perché Prodi non ha detto chiaramente no ai Dico. Anche se ci è andato vicino. Preoccupa che Pallaro abbia detto sì a Prodi e poi sia andato a trovare Berlusconi. Preoccupa che senza Pallaro la conta dell’Unione si fermerebbe a 157 senatori eletti, uno in meno della maggioranza «politica» chiesta dal presidente delle Repubblica. Ma alla fine Pallaro dice sì.
Ed è in quel momento, ore 20 e 35, che tutti i pezzi del romanzone pop vanno al loro posto. Nell’aula affollata e chiassosa non manca nessuno. C’è l’anziana senatrice arrivata da fuori sfidando stanchezza ed età. C’è l’ex presidente della Repubblica influenzato che una settimana fa non è riuscito a salvare il governo. C’è l’altro ex presidente che ha annunciato che voterà no ed è sbucato un attimo prima di avere la parola per spiegarsi, poggiato a una stampella e con un collare ortopedico. Stampelle, bende e fasciature ce ne sono molte altre. C’è anche il senatore arrivato in ambulanza per votare, votare no, ed è già tornato in clinica. Solo Giulio Andreotti, a sorpresa, ha cambiato il suo voto: doveva essere un sì, decide invece di restare fermo al suo posto senza rispondere alla chiamata. Ma Andreotti nei ruoli assegnati ci sta storto. E stavolta non è decisivo.
Follini contro il muro
Al banco del governo ci sono tutti tranne Rutelli. Parisi lo sostituisce alla destra di Prodi, dall’altra parte c’è D’Alema. Prodi nella replica dice di voler dire poche cose e chiare. Dice poche cose. Dopo un quarto d’ora pronuncia la formula: «Unioni di fatto». Piove un «Ooohh» dal centrodestra. Prodi lascia la libertà di coscienza ai parlamentari, cioè affonda i Dico. Sulla riforma della legge elettorale e sulla proposta di una bicamerale il mezzo passo è all’indietro: «la riforma serve ma è inopportuno e prematuro indicare modelli e designare luoghi tecnici». La maggioranza applaude poco, quando se ne ricorda, per dovere. D’Alema taglia corto e offre un foglietto al presidente del Consiglio. E Prodi legge: «Per queste ragioni chiedo la fiducia….».
In alto al centro si alza Follini per spiegare il suo voto favorevole. Vuole «costruire un ponte tra la sinistra moderata e il centro». Lì dove «adesso c’è un muro». Gli ex amici dell’Udc un po’ lo sfottono e lo lasciano molto solo. Salgono a fargli compagnia i nuovi compagni: prima Bordon. Poi Letta. Poi Fioroni. Letta e Fioroni si fermano anche da Andreotti, fanno la fila per parlargli aspettando che finisca Mastella. Naturalmente nessuno prova a fargli cambiare idea. Gli chiederanno se ha notizie di Pallaro. Turigliatto annuncia il suo «appoggio esterno». Il Dc Rotondi dice che il vero centrosinistra bisogna farlo con Berlusconi «geniale e simpatico». Matteoli di An punta facile: «Il governo durerà poco». Il forzista Schifani accusa il contumace Pallaro. Sollievo a sinistra: allora sta arrivando.
Fisichella fino all’ultimo
Per il voto si estrae la lettera «F», così vota subito Follini – «sì», risate a destra – e per ultimo Domenico Fisichella. Il senatore monarchico della Margherita che l’anno scorso stava con Fini e che ha un fratello cappellano del parlamento. In famiglia sono contrari ai Dico, per questo Domenico ha tenuto sulla corda tutto il pomeriggio il governo. Voleva astenersi. Invece vota sì e poi corre a farsi abbracciare da Prodi. Fuori dai banchi si aspetta la proclamazione di un risultato ormai certo. Anna Finocchiaro incrocia Turigliatto con lo sguardo di una maestra severa. Prodi sfugge da Fisichella e va a ringraziare Levi Montalcini. Ridono.
Allora finisce bene. Pallaro è già in sala stampa che mette in riga i giornalisti. Annuncia di «rappresentare un continente». Dice che ha chiesto a Prodi garanzie per la pensione degli italiani all’estero.
Quando il risultato è certo dentro l’aula del senato compare Rutelli, per la festa. Il presidente Marini annuncia: «Maggioranza richiesta 160, favorevoli 162 contrari 157». Prodi abbraccia tutti. Ma più forte di tutti Anna Finocchiaro. La cerca nel traffico di senatori come fa l’attaccante dopo un gol con chi gli ha fatto l’assist. Quei simpaticoni di Forza Italia strappano i loro manifesti a lutto. C’era scritto: «Mortadella / 9 aprile 2006 – 28 febbraio 2007».
Prodi commenta: «Abbiamo una maggioranza autosufficiente sotto tutti i punti di vista». Pallaro corregge: «Questa maggioranza bisogna allargarla e sui Dico voterò no». La preda ricomincia a scappare.