Sono trascorsi 18 anni dal 9 dicembre del 1987 a Jabalya, nella Striscia di Gaza, dove una scintilla diede fuoco alle polveri della prima Intifada contro l’occupazione militare israeliana. Da allora la vita dei palestinesi non è certo migliorata, neppure col ritiro di coloni e soldati israeliani da Gaza. Chiusure, aree militari, arresti, raid aerei, punizioni collettive. Le storie di sempre nei Territori occupati, alle quali si sono aggiunti nel frattempo gli «omicidi mirati» di attivisti della (seconda) Intifada. Ieri centinaia di palestinesi e dozzine di autocarri e automobili sono rimasti bloccati al posto di blocco di Qalandya (in Cisgiordania, a nord di Gerusalemme) – divenuto ormai una vera e propria «frontiera» – dopo la decisione delle autorità militari israeliane di chiudere tutta la zona in risposta all’omicidio di un soldato di guardia al punto di passaggio, compiuto giovedì da un militante delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Il portavoce militare non ha detto quando verrà riaperto il posto di blocco, si è limitato a comunicare che le barriere saranno alzate solo per i «casi umanitari». Una misura che si aggiunge alla chiusura di Cisgiordania e Gaza decisa dal governo Sharon dopo l’attentato suicida di qualche giorno fa a Netanya (nord di Tel Aviv) in cui hanno perduto la vita cinque israeliani. Ad un altro posto di blocco, quello di Hawara all’ingresso di Nablus, l’esercito israeliano avrebbe arrestato un palestinese 15enne in possesso di due piccoli ordigni pronti all’uso.
Continua intanto la protesta contro la costruzione del muro israeliano a Bilin (Ramallah), il più significativo esempio di resistenza civile palestinese in questa seconda Intifada. Anche ieri, come tutti i venerdì in questi ultimi mesi, centinaia di abitanti del villaggio – al quale l’esercito israeliano ha confiscato il 60% delle terre – dopo la preghiera hanno marciato verso i cantieri dove sta sorgendo il muro allo scopo di piantarvi alberelli d’olivo al posto di quelli sradicati dalle forze di occupazione. Ad accompagnarli c’erano decine di giovani pacifisti israeliani e volontari di vari paesi. L’azione dei soldati è stata, al solito, molto dura: manganellate, gas lacrimogeni, pestaggi, arresti. Almeno tre dimostranti – due palestinesi e un tedesco – sono rimasti feriti. Il portavoce militare ha detto che la manifestazione è stata dispersa con la forza dopo il lancio di sassi da parte dei palestinesi. Una versione che a Bilin smentiscono. Decine di palestinesi sono stati arrestati in questi ultimi giorni in Cisgiordania, in seguito all’attentato di Netanya. Secondo Israele sarebbero militanti del Jihad islami, l’organizzazione responsabile dell’attacco suicida mentre i palestinesi parlano di arresti, in molti casi, indiscriminati. Ieri a Deir Ghusun (Tulkarem) sono finiti in manette sette componenti della stessa famiglia.
Dagli Stati Uniti è giunta la notizia che le famiglie di 14 civili palestinesi, tra cui alcuni bambini, uccisi nel luglio del 2002 in un attacco aereo su Gaza, hanno chiesto alla corte distrettuale di New York l’incriminazione dell’allora capo dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno israeliano) Avi Dichter, uno dei «pezzi da novanta» nella lista elettorale di Kadima, il partito del premier Ariel Sharon. Dichter, che si trova negli Stati uniti, viene accusato dai palestinesi di «crimini di guerra» per aver fornito le informazioni necessarie per colpire il palazzo dove viveva uno dei leader di Hamas, Salah Shahade, assieme però a decine di civili palestinesi innocenti. Dopo quella «operazione» Sharon si congratulò con le forze aeree e il capo dell’aviazione militare (ora capo di stato maggiore) Dan Halutz, disse di «non aver avuto problemi a dormire la notte», nonostante la bomba dal peso di una tonnellata sganciata sull’edificio avesse ucciso anche alcuni bambini.