«Quando si formò il governo israeliano dopo le elezioni di marzo e si fece il nome di Peretz come ministro della difesa invece che degli affari sociali come da indicazioni della sua campagna elettorale, pensai: ecco, i giochi sono fatti. Faranno lo stesso gioco sporco degli altri governi con i laburisti alla difesa. I fatti di questi giorni rimandano la memoria al massacro di Kana in Libano, ordinato da un altro laburista, Shimon Peres (attuale vicepremier israeliano, ndr)». Al telefono da Vienna Luisa Morgantini, parlamentare europea indipendente eletta nelle liste di Rifondazione Comunista, stenta a credere che mentre parliamo arriva la notizia dell’ennesimo raid israeliano su Gaza con vittime civili, come gli altri.
«Sono pazzi», sospira l’eurodeputata, che, commentando la richiesta di dimissioni del ministro della difesa israeliano da parte dei membri arabo-israeliani della Knesset, aggiunge: «Sarebbe davvero il minimo che si dimettesse. A Tel Aviv in occasione delle commemorazioni per l’assassinio di Rabin (5 novembre, ndr) aveva detto che l’occupazione era un’“onta morale” per Isreale. Se n’è dimenticato in fretta».
Quanto ha sulla coscienza l’Unione europea per quello che accade oggi nei territori palestinesi?
L’Unione europea, come la comunità internazionale, ha una grande responsabilità. L’Ue è estremamente debole nella sua politica estera ed è complice delle politiche del governo israeliano e degli Stati Uniti. Si tratta di una timidezza storica nei confronti di Israele. Un paese che ruba fondi non consegnando ai palestinesi le proprie rimesse. Che oltre a bloccare nei suoi porti e ai valichi gli aiuti dell’Unrwa, lucra sullo stoccaggio forzato nei suoi porti. Comunque è debole anche la società civile, il mondo dell’associazionismo, i partiti. Di fronte a questo massacro operato dal governo Olmert, che si permette di respingere l’ipotesi di una commissione d’inchiesta internazionale sulla strage della spiaggia, non c’è stata una sollevazione adeguata. Bisognerebbe prendere esempio dalle voci di dissenso nella società israeliana, che dice con chiarezza che la salvezza di Israele è la fine dell’occupazione, non le uccisioni preventive.
E qual è la salvezza dei palestinesi da sé stessi?
Il rischio di guerra civile, se è a questo che ti riferisci, c’è davvero. Io mi auguro che il tentativo di dialogo tra Hamas e Fatah dia dei risultati positivi e si trovi il modo di evitare un referendum lacerante per la società. Personalmente il quesito che mi pongo non è perché i palestinesi si ammazzino tra di loro, ma come mai dopo tanti anni di occupazione la maggior parte di loro continui a resistere pacificamente. Chi imbraccia le armi non è una parte prevalente.
Quanto fa comodo a Fatah l’isolamento internazionale di Hamas, che di fatto ne impedisce l’azione di governo?
E’ chiaro che qualunque partito che, avendo storicamente governato un paese, perda le elezioni, miri a tornare al potere. Ma Fatah quando ha perso le elezioni ha lasciato ad Hamas il suo posto, pur trattandosi di un partito non laico, che per giunta non faceva parte dell’Olp. Credo che alla fine prevarrà l’interesse comune del popolo palestinese. Anche su questo il ruolo dell’Unione europea è determinante. L’Ue non può ignorare che la questione dello sblocco degli aiuti ai palestinesi sia politica. Io ho chiesto al parlamento europeo di avere il coraggio di aprire un dialogo col partito al potere in Palestina, con un Anp che non è solamente Abbas. Non dimentichiamo che Hamas ha mantenuto la tregua per 18 mesi. Occorre chiedere anche a Israele, come lo si fa coi palestinesi, di imporre un cessate il fuoco. Questo devono fare le mobilitazioni civili dei nostri paesi. Chiedere con forza che si riavvii un negoziato per giungere alla soluzione dei due popoli per due Stati.