Palestina – la terra dove non c’è più posto perfino per i desideri

Cari compagni, oggi il fuoco israeliano ha cercato di uccidere il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh. Questo è ciò che ha ottenuto per la sua moderazione e la sua apertura. Non l’appoggio e la protezione della comunità internazionale, che chiedeva a gran voce e con il ricatto dell’embargo, che Il governo di Hamas riconoscesse Israele. Ora che questo è praticamente avvenuto la comunità internazionale non alza un dito per difendere il primo ministro democraticamente eletto, né protesta per il sequestro di ministri, sindaci e deputati. Riuscite a immaginare cosa sarebbe mai accaduto se fossero stati i palestinesi a sequestrare 30 sindaci israeliani, mezzo governo e cercare di uccidere Olmert? Provate a immaginarlo e avrete la misura dell’ingiustizia e della diversità di valutazioni quando si parla di “israeliani e palestinesi”. Israeliani e palestinesi non sono due popoli rappresentati da due stati sovrani e quindi è ridicolo tanto parlare di guerra quanto fare appello alla moderazione dell’uno e dell’altro. Noi italiani siamo un popolo che è già stato occupato e ha conosciuto l’atrocità di avere “il piede straniero sopra il cuore”. Abbiamo combattuto contro l’occupazione nazifascista e abbiamo lottato per l’unità d’Italia. Il Risorgimento è la base della nostra cultura e orgoglio nazionale. Abbiamo celebrato i nostri eroi che noi abbiamo chiamati patrioti ma che probabilmente gli austriaci avrebbero chiamato terroristi come gli israeliani chiamano i palestinesi anche se combattono contro i soldati e non contro la popolazione civile. Qualsiasi atto di ribellione, di resistenza e di rivolta da parte palestinese è chiamata terrorismo da Israele che è riuscita a imporre il proprio punto di vista a tutto il mondo. Non è ora finalmente di dire un po’ di verità su tutta la faccenda? Provate a immaginare che un altro popolo venisse in Italia la occupasse e si prendesse la maggior parte del territorio. Immaginate che dopo sessant’anni di occupazione e di ogni sofferenza possibile noi accettassimo di ritirarci sul 22 per cento del territorio rimasto e ci volessimo fondare il nostro stato e immaginate che la potenza occupante ce lo impedisse in ogni modo che uccidesse persone tutti i giorni che ci impoverisse negandoci sia di muoverci sia di avere un po’ di economia indipendente e dopo tutto questo andasse gridando al mondo che siamo noi i violenti, i terroristi perché non accettiamo il suo stivale sul nostro cuore. Immaginate anche di rivolgervi alla comunità internazionale per chiedere aiuto per chiedere che almeno degli osservatori venissero a documentare il sopruso e l’abominio e immaginate che il resto del mondo desse invece ragione agli invasori e ci mandasse a dire che siamo noi che abbiamo torto, con i nostri bambini denutriti, con i nostri bambini terrorizzati a morte, con i nostri bambini morti ammazzati, noi con le nostre tavole vuote con un’unica cassetta di alici in tutto il mercato, noi con le barche bucate dalle pallottole dei soldati se siamo fortunati e non hanno bucato il nostro corpo mentre uscivamo a pescare per sfamare le nostre famiglie, noi con le nostre spighe rubate, le nostre case distrutte, i nostri ulivi spiantati, la nostra vita offesa, le nostre speranze frustrate sempre e infine spente, noi che abbiamo dimenticato perfino i nostri desideri. Provate a immaginare tutto questo e vi sarete appena avvicinati al dramma del popolo palestinese, quel dramma così invisibile dietro la fitta nebbia della complicità, dell’ipocrisia, dell’indifferenza generale. In questa che chiamano “crisi” e che è in realtà l’ennesima violenza dell’occupazione israeliana (tanto il presidente Abu Mazen quanto il governo di Haniyeh avevano preso le distanze dalla cattura di Shalit e anzi avevano ordinato alle forze dell’ordine di liberarlo, Israele ha risposto sequestrando un popolo intero, arrestando mezzo governo e tentando di uccidere il primo ministro) tutti i giornali hanno messo al centro il “rapimento” del caporale Shalit. Forse sarà più mediatico? E’ incredibile che sembri più importante la cattura di un solo soldato israeliano delle reiterate e strazianti sofferenze di un popolo intero sequestrato e assediato, chiuso in un ghetto spaventoso. Ma non sono solo i media ad avere questo metro di misura. Pare che D’Alema abbia subito telefonato ad Abu Mazen in occasione del rapimento di Shalit, ma che non abbia telefonato a nessuno dopo il rapimento di mezzo governo palestinese. Dispiace constatare che poco interesse suscita nel movimento e nelle persone di sinistra che dovrebbero essere più sensibili e più coscienti, il dramma palestinese. Apro “il Manifesto” e sbircio per prima cosa le lettere, perché sono la parte del giornale che più dà la misura di ciò che pensa il popolo di sinistra. Vedo che si scrive di tutto, ma la Palestina non è menzionata. Poi un giorno ecco, finalmente una lettera, ma quando leggo il mittente vedo che è Ejjp (Ebrei europei per una giusta pace). Il giorno dopo c’è un’altra lettera e mi rincuoro, ma già, avevo dimenticato, è il nostro comunicato che come Rete ebrei contro l’occupazione avevamo scritto, sottoscrivendo il grido di angoscia di Gush Shalom. Una terza lettera, bellissima a mio avviso nella sua brevità, ma quando leggo la firma vedo che si tratta della mia amica Paola di Ejjp ed Eco. Finalmente vedo una lettera che non è firmata da noi, però è un nome che non mi è nuovo e credo proprio che sia un compagno di “Salaam ragazzi dell’ulivo” o qualcosa di affine. Insomma fuori dal giro superristretto di chi è veramente interessato e lavora da tempo su questo fronte c’è l’indifferenza. Il 7 luglio, è vero, ci sarà una manifestazione, ma era una manifestazione già in programma che riguardava il muro e l’embargo. Non sarebbe stato il caso di uscire in piazza e organizzare immediatamente un presidio, qualcosa di visibile, per esprimere la nostra disapprovazione alla pioggia d’estate?

* Rete ebrei contro l’occupazione