Delitto «d’onore»: omicidio da parte dei parenti prossimi di una donna colpevole o sospetta di intrattenere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio. In Iraq, di questi casi, se ne contano a centinaia dal 2003. Un aumento non casuale perché è proprio sull’occupazione militare e sul nuovo ordine mediorientale che pesano quelle esecuzioni. Esse testimoniano nei fatti un ordine tribale rafforzato ed abusato dalle forze occidentali per la penetrazione in territorio iracheno, quanto di meglio Usa e Gran Bretagna riescono a fare per controllare il nuovo Iraq e diffondervi la loro democrazia. Va detto che già negli anni `80 Saddam aveva iniziato a ritoccare la modernizzante legislazione baathista, incoraggiando i difensori dell’onore familiare e tribale. Ma sebbene vi sia un preciso nesso fra sistema tribale e delitto d’onore, come mai la casistica si impenna puntualmente in situazioni di occupazione straniera o sfollamento? L’Iraq non è un caso isolato. E’ nota l’incidenza dei delitti d’onore nella vicina Giordania, paese ritagliato a misura occidentale includendovi una fedelissima minoranza beduina ed una numerosa componente palestinese – profughi, perlopiù, tuttora emarginati ed ammassati in campi controllati a vista dalle autorità. Nel paese, alleato di ferro di Usa ed Israele, in media un omicidio su tre riguarda figlie e sorelle che vengono regolarmente uccise per lavare l’onta del disonore familiare in seguito ad un pettegolezzo, un sospetto non verificato, un fidanzamento sgradito, un rapporto sessuale extramaritale, ma più frequentemente uno stupro o un incesto. Le potenziali vittime restano bloccate in casa, coscienti ogni momento della minaccia che incombe su di loro.
Diritti delle donne? Sabotaggio
Come sfuggire infatti quando il sistema economico è ancora arretrato e la legislazione vincola la libertà di movimento e di lavoro di una donna all’autorizzazione dei parenti maschi? Poche le speranze: restano la prostituzione, la protezione fornita dal carcere – previo umiliante esame della verginità – o la semplice attesa della propria morte, fra depressione e vergogna.
Tutto ciò rappresenta quasi una fortuna, al confronto coi vicini Territori palestinesi occupati; là le prigioni vengono rase al suolo, e reclamare pari diritti per le donne passa come sabotaggio alla causa nazionale. Le ragazze palestinesi sono schiacciate fra le istanze nazionaliste di una società ancora rurale e l’occupazione militare israeliana. Nei Territori è attivo lo Wclac, formidabile centro formato da avvocati ed assistenti sociali palestinesi che sfidano attacchi e coprifuochi girando fra città, campi profughi e villaggi per informare ed assistere le vittime della violenza domestica. Hanno attivato una hot-line di pronto intervento ed una serie di rifugi dove nascondere e mantenere le donne in pericolo, nella prospettiva di aiutarle a ricrearsi una vita. Purtroppo è capitato che i rifugi venissero bombardati, e che tempestivi interventi venissero nullificati da blocchi militari invalicabili: le forze d’intervento mobilitate si ritrovavano ad aspettare per ore un permesso israeliano mentre, poco distante, colei che aveva chiesto aiuto veniva assalita ed uccisa.
Sia Giordania che Territori palestinesi occupati condividono il medesimo codice penale ispirato non alla shari’a bensì al codice napoleonico del 1810, copiato sotto dominazione ottomana e rimasto la matrice di gran parte della legislazione nel mondo arabo. Queste dunque le radici del famigerato art. 340, che assolve in particolari circostanze l’esecutore di un femicidio intrafamiliare, un po’ come l’italiano art. 587 c.p., abolito solo nel 1981. L’art. 340, però, non menzionando direttamente l’onore e circoscrivendo di molto la casistica specifica, risulta difficile da invocare e solo una volta, nella storia della giurisprudenza giordana, è stato applicato. Tuttavia in Giordania ha innescato una massiccia campagna di sensibilizzazione contro i delitti d’onore che, partita da undici volontari – dieci dei quali palestinesi – mirava a premere per una sua totale cancellazione dal codice.
Debolezze messe a nudo
Una battaglia simbolica che ha messo a nudo le debolezze della società civile giordana allorché la casa reale – preoccupata da una condanna internazionale – ha platealmente appoggiato la protesta (che è dovuta comunque procedere clandestinamente, nel boicottaggio totale delle istituzioni formali), scatenando una serie di polemiche, bracci di ferro parlamentari e perplessità. Parte della popolazione è arrivata a temere che criticare i delitti d’onore portasse ad attaccare la famiglia come istituzione fondante, ed al coro si sono unite le invettive dei movimenti islamisti che, pur riconoscendo la non-islamicità di simili pratiche, vedevano nella cancellazione dell’art. 340 un cedimento al femminismo occidentalizzante e filo-americano. Posizioni ricorrenti nel mondo arabo. Alla fine, la facciata della casa reale giordana è risultata salva di fronte alla stampa internazionale, mentre la campagna contro l’art. 340 è ferma da sei anni fra rimbalzi parlamentari e disinteresse generale.
Nel frattempo il delitto d’onore nei tribunali giordani può contare su ben altri articoli ed attenuanti, dalla legittima difesa allo stato di furia; tutte assoluzioni soggette a creatività e buona creanza di giudici e difensori. Ed ecco dunque casi in cui, per d esempio, chi ha ucciso la sorella anni dopo averla vista rivolgere la parola ad uno sconosciuto viene premiato con una sentenza di soli sei mesi: poverino, si è indubbiamente trattato di un atto impulsivo in preda alla furia che l’ha colto ricordando la «pericolosa provocazione» (art. 98 c.p.) intentata ai suoi danni. E’ sintomatico dell’impianto morale soggiacente al sistema che, per contrasto, simili sentenze permissive non vengano pressoché mai accettate nei casi di delitto passionale, come a ribadire che la famiglia è un’altra cosa. Non stupisce infine scoprire in realtà esisterebbero punizioni severissime – la pena di morte senza sconti – per i casi di stupro, incesto forzato e concorso in omicidio di parente stretto, tutti scenari ricorrenti nel delitto d’onore; tutti articoli che non risultano venir mai invocati durante i processi. Del resto, per quanto riguarda gli abusi in ambito domestico, una minorenne necessita del permesso dei parenti maschi per denunciarli e chi lo concederebbe?
Nei Territori palestinesi occupati, il c.p. giordano è inserito in una babele schizofrenica di cinque sistemi di leggi sovrapposti ed ordinamenti giudiziari confusi nel totale disordine di competenze e poteri esecutivi. Uno stato di cose risultato comodo anche all’Anp grazie all’arbitrarietà ed impunibilità che garantisce, e conservato dallo stato di guerra permanente e dall’impossibilità di movimento ormai propri ai Territori. Prima di discutere l’applicazione o meno di certi articoli, dunque, sarebbe bene chiedersi quanto i palestinesi possano considerare il sistema giudiziario una parte integrante e legittima della loro vita di cittadini senza stato.
Babele di leggi
Il problema del valore di una sentenza esemplare è ancora lontano dal porsi. Ci si arrangia con quel poco che c’è, come fanno le volontarie dello Wclac che operano tramite mediazione di governatori, autorità religiose e leaders della comunità sottoponendo le famiglie a terapie e colloqui continui. Ma non sempre funziona: nel caso di Faten Habbash, la ragazza cristiana di Ramallah recentemente uccisa dal padre perché fuggita col fidanzato mussulmano, il prete e l’imam della comunità erano rimasti indietro per non favorire un matrimonio misto. Un minimo di aiuto era venuto da un capo tribù che aveva brevemente preso la ragazza in custodia. Governatori e forze di polizia, in questi casi subordinati alla legge che li obbliga a riconsegnare una donna se reclamata dalla propria famiglia, avevano potuto soltanto pretendere dalla famiglia una garanzia scritta sull’incolumità della propria parente. Ma in questi casi quasi sempre la donna, rincasata, finisce casualmente col precipitare dal tetto o dalla finestra. Come Faten. Nell’immediato alle ragazze palestinesi compromesse resta una via d’uscita alla morte: la protezione israeliana. Passare informazioni e sabotare la resistenza può significare l’incolumità o il trasferimento dalla comunità a rischio. L’assioma non è naturalmente automatico, sono pochi i casi, ma ad ogni buon conto durante la prima Intifada le brigate palestinesi eliminarono numerose donne la cui moralità appariva dubbia, giustiziandole al posto dei parenti.
Controllo e sanzione
L’antropologia ci insegna che il delitto d’onore è un fenomeno comune alle culture mediterranee. Il controllo delle donne e la pubblica sanzione di ogni loro infrazione legittimano e permettono di sopravvivere al sistema socio-politico della famiglia allargata, specialmente se è l’unica organizzazione sociale possibile. Restringere e sorvegliare la mobilità e riproduttività femminile diviene allora cruciale per economia, equilibrio ed integrazione delle famiglie all’interno del sistema. Per questo, dalla verifica sociale della verginità di una donna dipende la reputazione dei parenti preposti alla sua protezione. Hanno un loro ruolo anche le donne più anziane: spesso madri, zie e cognate sono zelanti promotrici e complici di esecuzioni atte a preservare la rispettabilità dei maschi che, se presi di mira al posto delle donne, priverebbero la famiglia di una garanzia economica e rappresentativa ben più quotata rispetto ad una parente femmina. Nella cultura araba tribale esistono alcuni antidoti immediati, come il richiedere la protezione della tribù: l’ospitalità è un valore sacro quanto l’onore, della quale profitta chiunque chieda aiuto. Essa può però funzionare soltanto in contesti sociali sani, con territori e legami non sconvolti dalla guerra o da una occupazione militare dove come leader tribale viene imposto colui che meglio può servire gli interessi del nemico contro la propria gente – tantomeno in un campo profughi.
Il delitto d’onore torna allora quando qualunque altra istituzione manca di efficienza o legittimità. Senza stato, senza democrazia, senza canali di rappresentanza presso l’occupante, senza il permesso di autogestirsi politicamente, quali risorse rimangono? A questo va aggiunto il trauma culturale di una presenza straniera minacciosa e costante. Se guardiamo al popolo palestinese, ad esempio, il tema dell’onore ricorre spesso. Dopo la Nakba le profughe palestinesi cominciarono a lamentare un irrigidimento dei costumi e degli spazi: padri e fratelli privati di tutto, spiazzati, umiliati nel profondo ed ammassati fra sconosciuti trovavano come unica sicurezza la salvaguardia della purezza delle proprie figlie. Un nuovo patriarcato pagato dai movimenti politici femminili, ostacolati da parenti maschi timorosi che le loro donne, nelle carceri israeliane, venissero disonorate. Un conto è la liberazione nazionale, un altro la reputazione. E se «Prima la terra, poi l’onore» non si sente più dire, le vittime di Iraq, Giordania e Palestina ci parlano forte di un onore senza terra.