Palazzo Chigi teme il complotto: «Vogliono darci una spallata»

«Ma votano anche gli americani sull’ Afghanistan?». Raccolta al volo dalle parti di Palazzo Chigi. Rigorosamente anonima. Acida e amara come i brutti pensieri, anche se a pensar male – diceva qualcuno – prima o poi ci si azzecca. Un attimo prima le agenzie avevano rilanciato le dichiarazioni del portavoce Sean McCormack: ruvido sullo scambio tra Mastrogiacomo e i 5 prigionieri talebani, perentorio nell’ escludere che Condoleezza Rice sapesse dell’ accordo tra Roma e Kabul. Romano Prodi tace, ma dire che è contrariato è un eufemismo. Parla per tutti Massimo D’ Alema: ammette i dissensi con gli Usa sulla gestione del rilascio e, forte della successiva e più vellutata nota del Dipartimento di Stato, sdrammatizza, smussa, rilancia le ragioni dell’ alleanza, batte il tasto della vita (quella salvata a Mastrogiacomo). «La linea del governo è nelle parole del ministro degli Esteri» fanno sapere in serata, stavolta ufficialmente, da Palazzo Chigi: una posizione maturata in un incontro tra Prodi, D’ Alema e Parisi. Avanti così. Ma qualcosa è successo. L’ elastico tra Roma e Washington si sta tirando oltre ogni limite. L’ uno-due che gli americani hanno sferrato nelle ultime 24 ore ha dato la stura negli ambienti di governo a riflessioni tutt’ altro che rasserenanti. «Stavolta sono entrati a gamba tesa» è il commento più benevolo. Il sospetto che oltre Oceano sia forte la tentazione di dare una spallata al governo del Professore, considerato troppo autonomo e troppo condizionato dal pacifismo di sinistra, circola con insistenza. A nessuno è sfuggita la tempistica dell’ affondo Usa, piombato su Roma a 5 giorni dal voto in Senato. Così come il (conseguente?) riposizionamento di Forza Italia e An rispetto al finanziamento della missione, fino a ieri mai messo in discussione. Partita complicata: l’ alternarsi delle dichiarazioni americane, ora dure, a tratti sprezzanti, poi improvvisamente più articolate e sfumate, dà l’ idea della battaglia in corso al dipartimento di Stato tra falchi e colombe. «È chiaro che in questo momento la pressione dell’ ala militare è fortissima» ragionano gli uomini di Prodi, convinti che la situazione a Washington sia in piena evoluzione, che gli Usa abbiano voluto lanciare un monito all’ intera alleanza, non solo all’ Italia, e che sia quindi più opportuno per il presidente del Consiglio tenere un profilo defilato, lasciando alla Farnesina la prima linea. Alcune delle argomentazioni addotte dalla sponda americana per mettere dietro alla lavagna il comportamento italiano hanno suscitato stupore e più di un interrogativo. L’ affermazione, ad esempio, che la Rice fosse all’ oscuro del lavoro in tandem tra Roma e Kabul viene considerata difficilmente sostenibile. Viene ricordato che durante le drammatiche fasi del sequestro Mastrogiacomo il presidente afghano Karzai ha svolto un ruolo centrale rispetto alle richieste che giungevano dai talebani e, si aggiunge, difficilmente si sarebbe mosso nella direzione dello scambio dei prigionieri se non avesse avuto la certezza di poter contare sul via libera o, perlomeno, sulla comprensione degli americani, con i quali coltiva da sempre strettissimi rapporti. E il fatto poi che la Germania, che ha due ostaggi in Iraq, si sia allineata alle posizioni Usa viene spiegato con la necessità della Merkel di non offrire sponde a quella parte dell’ opinione pubblica che da tempo contesta la linea della fermezza assunta dal governo tedesco. «La verità è che gli americani si erano abituati fin troppo bene con Berlusconi…» si consola qualche prodiano, in attesa della prossima grandinata.