Innanzitutto occorre ricordare che i rifornimenti dell’esercito statunitense e alleati connessi impegnati nell’occupazione afghana passano per il suolo pakistano nella misura dell’80%, un’enormità… il restante delle forniture approdano alle truppe di occupazione dall’Asia centrale tramite vie molto più costose e problematiche, o per via aerea con scali traballanti tipo la base aerea di Manas in Kirghizistan la cui concessione è stata fra i casus belli dei recenti scontri “etnici” per la deposizione dell’attuale premier Otunbrayeva…
Questi rifornimenti “via Pakistan” a loro volta all’80% procedono tramite il Passo del Khyber e arrivano alla base militare Usa di Begram, vicino alla capitale Kabul; il restante arriva a Kandahar dal Passo di Chaman.
Si evince che il Passo di Khyber è di vitale importanza per il proseguo delle operazioni belliche, è risaputo, e la sua chiusura da parte pakistana se dovesse perdurare nel tempo condurrebbe a effetti catastrofici, non ammissibili da parte di gerarchi di un’esercito già in panne di suo.
Questa azione di forza da parte del capo dell’esercito pakistano Pervez Kiani, riflette un’insofferenza che in questi mesi è andata crescendo e che ha maturato le pressioni dei suoi colonnelli affinchè si mettesse sul piatto un ricatto funzionale alla cessazione dei sempre più numerosi e micidiali raid dei droni nella regione del Waziristan.
E’ dall’arrivo dell’amministrazione Obama che il conflitto afghano si è esteso oltreconfine, nelle cosìdette “zone tribali”, ma come prevedibile le scintille stanno dando fuoco alla polveriera Pakistan e il gioco delle parti composto da mille contraddizioni e rapporti insani tra Stati Uniti – Isi (servizi segreti pakistani) e militari inizia a non reggere più.
Nell’ultima settimana ben 45 camion della Nato carichi di combustibile e rifornimenti sono stati distrutti in due diversi attacchi di cui uno in prossimità della capitale Islamabad.
Di fronte al degenerare della situazione è stato lo stesso Ministro degli Esteri pakistano a dichiarare che il ripristino dell’apertura della frontiera per gli approvvigionamenti alle truppe Nato è vincolata alla diminuzione della collera popolare per gli attacchi statunitensi entro i confini nazionali. Aggiungendo con tono di sfida che qualsiasi attacco contro i convogli della Nato è da considerarsi “una reazione delle masse pakistane”. Richard Hoolbrooke, l’inviato speciale Usa per l’Afghanistan e Pakistan ha rimarcato che non è pensabile che la chiusura del confine possa protrarsi perché produrrebbe “effetti colossali per la regione” (quasi una minaccia), e che la relazione con il Pakistan “ è la più complessa relazione strategica che gli Usa hanno avuto nella storia recente”.
Quello che è divenuto palese è che nella “relazione strategica” la parte pakistana ritiene che oggi i costi in termini di coesione nazionale e contenimento del malcontento delle masse superano di gran lunga i benefici quantificabili nei milioni di dollari in aiuti e prestiti erogati dagli Stati Uniti direttamente e indirettamente a governo e forze armate.
Nel frattempo le ombre cinesi avanzano… con discrezione … Pekino ha ottenuto il controllo delle operazioni del porto di Gwadar, porto strategico per lo smistamento del proprio fabbisogno energetico proveniente da Arabia e Africa, da quì un oleodotto congiungerà direttamente lo Xinjiang. Il Pakistan va ricordato, è membro osservatore dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai e l’interscambio con la Cina sta aumentando in modo esponenziale superando il 50% di quello totale. Il blocco della frontiera probabilmente cesserà nei prossimi giorni, il messaggio che Islamabad ha mandato a Washington ritengo sia stato recepito forte e chiaro. I militari pakistani vedono sotto i loro occhi il decadentismo dell’imperialismo statunitense in Afghanistan e sono coscienti della forza del potere ricattatorio cui dispongono verso Washington. Col procedere dei mesi gli equilibri mondiali pendono sempre più verso est, ed è lì che in prospettiva il Pakistan si collocherà, nel frattempo cercherà di gestire e contenere le contraddizioni che l’alleanza “strategica” di Washington cercherà di vomitargli addosso.