Torna in auge la «politica dei redditi»: il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa ieri ha sfoderato le migliori intenzioni concertative, proponendo a Cgil, Cisl, Uil e Confindustria di rinnovare il patto del luglio ’93. Questa volta – ha però tenuto a sottolineare il ministro – non si tratta più di combattere i rischi di inflazione, e il problema non sta nella crescita dei redditi ma nella perdita di competitività delle imprese. «Il settore pubblico deve contribuire alla crescita migliorando nell’efficienza e nell’erogazione dei servizi – ha spiegato Padoa Schioppa alle parti sociali – Ma se c’è uno stallo nella produttività qualcosa è successo nell’impresa: non è perché i redditi sono cresciuti troppo ma perché sono stati troppo pochi gli investimenti. L’Italia ha perso molta competitività negli ultimi anni, mentre altri Paesi come la Germania l’hanno riguadagnata». Dunque un messaggio critico verso le aziende, che però hanno preferito glissare, affermando di aver fatto il loro lavoro: lo dimostra la «ripresina» del 2006, ha risposto il direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta, se ci sono problemi di produttività dipendono da altri fattori, e non dai mancati investimenti. Ecco dunque la replica degli industriali: ok a concertare una nuova politica dei redditi, ma la manovra deve guardare «al taglio delle spese piuttosto che all’aumento della pressione fiscale e – soprattutto – deve avere come cifra della qualità quanto ci è stato promesso, ovvero il taglio del cuneo fiscale». La richiesta, dunque, è precisa: la produttività sale se il costo del lavoro scende.
Contro il proposito di rimettere mano ai contratti e al patto del ’93 insorge la sinistra radicale, con Gennaro Migliore e Franco Giordano del Prc, e Manuela Palermi e Pino Sgobio, di Verdi e Pdci. «C’è una partita aperta. Non va confusa la struttura contrattuale con la finanziaria – spiega Giordano – Non si può determinare una riduzione del potere contrattuale del mondo del lavoro». Palermi ricorda che «la parte inattuata dell’accordo del ’93 è proprio quella relativa alla tutela dei salari», e chiede il ripristino di una scala mobile. Dall’altro lato, i parlamentari dell’Ulivo sostengono invece Padoa Schioppa, e dal governo Rutelli, Letta e Visco ricordano che «la manovra sarà di 30 miliardi», ennesima risposta indiretta alle posizioni del ministro Ferrero e di Rifondazione, che la vorrebbero dimagrita a 24 miliardi.
Dal fronte sindacale le risposte sono invece di cauta apertura, in attesa del tavolo unitario di lunedì prossimo che dovrà stilare una risposta comune. Ma ci sono degli argomenti che si presentano già come «spinosi» e sui quali l’accordo è tutt’altro che scontato. Innanzitutto la riforma dei contratti, cuore del patto del ’93, che vede divise la Cgil da Uil e Cisl (la prima dà molto peso al contratto nazionale, come ribadiva ieri il leader Cgil Guglielmo Epifani; le altre due sono disposte a decentrare agli altri livelli). Ancora: il governo, per bocca del ministro del lavoro Cesare Damiano, dice di non voler essere coinvolto in prima persona nell’accordo sulla riforma dei contratti, ma che vuole offrire un’opera di sostegno a una materia «che devono discutere le parti sociali». Ad esempio, c’è sul piatto la richiesta della Cisl di detassare gli aumenti nel campo del salario variabile e della produttività, dando così impulso alla contrattazione di secondo livello. Una posizione condivisa dall’ex sottosegretario Sacconi, che indebolirebbe il contratto nazionale. Il governo potrebbe sposare tale misura, ma l’ago della bilancia resta comunque la Cgil.
Ancora, c’è la questione pensioni, che secondo Epifani «non sarà un capitolo da affrontare nella finanziaria». Tutti temi caldi, come quello delle soluzioni da dare al problema della precarietà del lavoro: la Cgil parla di «riscrittura delle leggi» e non più esplicitamente di abrogazione della legge 30, come invece avveniva a ridosso delle elezioni politiche, e dunque potrebbe essere disposta ad accettare il «compromesso» offerto dal ministro del lavoro Cesare Damiano, che ancora ieri indicava la soluzione negli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato (ribadendo che si taglierà «significativamente» il cuneo fiscale) e nell’aumento graduale dei contributi del lavoro parasubordinato. Nel programma dell’Unione c’è scritto che il «lavoro flessibile non deve costare meno di quello stabile», e dunque la via di accordo potrebbe essere quella di portare i compensi dei cocoprò al livello dei contratti nazionali e, insieme, parificare (seppure con gradualità) anche i contributi per la previdenza. Oltre a regole più stringenti (sul genere circolare call center) per distinguere i parasubordinati dai subordinati. Ma certo non è scontato che le imprese accettino un tale irrigidimento e innalzamento dei costi, né per ora lo stesso Damiano parla di uguagliare i compensi ai contratti nazionali o di arrivare a una piena equiparazione dei contributi al livello dei dipendenti. Dall’altro lato, c’è il cartello «Stop precarietà ora», con ampi pezzi di Cgil e sindacati autonomi, con associazioni come l’Arci e partiti come il Prc che invece chiedono l’abrogazione della 30 e interventi più radicali: saranno in piazza a Roma il 4 novembre prossimo.
Tornando alla manovra, sia la Cgil che la Cisl hanno ribadito che comunque siederanno al tavolo per una nuova politica dei redditi solo se la finanziaria mostrerà dei chiari segnali a favore dei redditi da lavoro e pensione. «Ci vuole un fisco che aiuti i salari e le pensioni – ha spiegato Epifani – Per questo bisogna rinnovare i contratti pubblici a scadenza e sistemare le sacche di precarietà che esistono nel pubblico e nel privato». Di necessità di una «manovra equa» parla anche il leader della Cisl Raffaele Bonanni: «Il meccanismo della progressività fiscale è stato scardinato e ha compromesso i ceti più deboli – spiega – Occorre che il secondo modulo della riforma fiscale venga messo in discussione, che siano tassate le rendite finanziarie e si avvii l’anagrafe tributaria contro l’evasione e l’elusione. Servono nuove regole sulle tariffe e la concorrenza, senza dimenticare i rinnovi contrattuali pubblici e privati».