Nel giorno in cui il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero lancia l’idea di un bilancio sociale in grado di misurare i livelli di povertà, esclusione e diseguaglianza del Paese, cresce lo scontro sulle sorti del tesoretto, quei 10 miliardi e rotti di Euro che il commissario europeo Almunia e il ministro del tesoro Padoa-Schioppa vorrebbero fossero per la gran parte destinati alla riduzione del debito. Una prospettiva che contrasta con le promesse di Prodi – «il tesoretto andrà a chi ha meno» aveva detto il premier non più di una settimana fa – e che soprattutto non convince quanti, molti tra sindacati e partiti di governo, rifondazione comunista per prima, pensano che quei soldi in più debbano essere spesi per le politiche sociali. Il più chiaro è stato proprio il ministro Ferrero: «I due miliardi e mezzo che il ministro Padoa Schioppa vuole destinare allo stato sociale – ha detto nel corso del convegno – non sono per nulla sufficienti per il tavolo sul welfare. Ne servono molti di più per abolire lo scalone e per potenziare il welfare, dalla casa alla non autosufficienza. Larga parte del Tesoretto – ha detto Ferrero – deve essere utilizzata a tal fine. Dopo una manovra da circa 40 miliardi – ha aggiunto – non si capisce perchè l’extragettito invece di finanziare la spesa sociale, debba addirittura essere considerato un anticipo della riduzione del debito per il prossimo anno».
Nella partita entra anche Clemente Mastella che una soluzione ce l’ha, destinare il tesoretto per aiutare la famiglia: «Senza una politica per la famiglia -avverte Mastella- c’è il declino del nostro paese». E allora «crediamo che in Italia un tesoretto ci possa essere anche per la famiglia, per aiutarla a superare le difficoltà». Bisogna intervenire per favorire la natalità e quindi mettere in campo politiche adeguate, a partire dal quoziente familiare, dagli interventi per la casa e per l’accesso al credito.
Un tema, quello del tesoretto, che ha inevitabilmente attraversato il convegno sul bilancio sociale presentato dallo stesso Ferrero, un bilancio, con tanto di ricerche e indicatori, che annualmente fotografi lo stato del welfare in Italia. C’è la relazione annuale del governatore di Bankitalia e c’è, ci sarà, la relazione annuale del ministro della solidarietà sociale. C’è il rapporto di Draghi sullo stato economico e finanziario del Paese e c’è, ci sarà, il rapporto sullo stato sociale del paese. «Viviamo un disastro dei sistemi di protezione sociale – ha sottolineato il Ferrero – e non siamo in grado di misurarne l’efficacia. Per questo – ha continuato – dobbiamo creare un sistema di indicatori che siano in grado di fornire un quadro sul quale intervenire con politiche efficaci, politiche di sostegno alle fasce più esposte della nostra comunità». Del resto, il compito è chiaro: l’Italia deve adeguare il suo sistema di welfare alle nuove esigenze e la politica deve saper affrontare le nuove emergenze sociali legate soprattutto all”aumento delle disuguaglianze sociali e ai processi di esclusione.
Sono i dati a parlare, i numeri. Dati e numeri snocciolati da Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat, che ha incentrato il proprio intervento sull’utilizzo del Web, il sistema di accesso al sapere del futuro prossimo. Ed eccoli i dati sul web: Il 70% delle famiglie con minori ha un personal computer in casa ma, qui le differenze, la percentuale scende al 58% nelle isole. Il gap aumenta ancora se consideriamo l’estrazione sociale: usa internet più del 69% dei figli di dirigenti imprenditori e liberi professionisti contro il 52% dei figli degli operai.
Non solo web però, basti pensare che circa 500mila tra bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni che nel 2005 non sono mai andati al cinema, non hanno letto libri, non hanno mai usato un computer e quindi non hanno mai navigato in Internet e infine non hanno mai fatto nessun tipo di sport. Sono «gli esclusi da tutto». E guarda caso tra questi esclusi il 9,4% si concentra nelle famiglie operaie e il 13,2% al Sud, mentre la media nazionale si attesta sul 7,3%.
Un esempio su tanti, un esempio però che mette in luce la necessità di ripensare tutto il sistema delle politiche sociali e cominciare a monitorare il settore in modo scientifico e costante. Tanto gli interventi nel corso del convegno e molti i dati statistici forniti dai vari interventi, da quelli del Censis, che ha analizzato le dinamiche della povertà e della disgregazione sociale, a quelli di studiosi come Roberto Pizzuti, Enrico Pugliese e Marco Revelli, che hanno analizzato il rapporto tra le trasformazioni sociali in corso e l’aumento delle diseguaglianze. Ota de Leonardis e Giancarlo Rovati hanno infine analizzato i sistemi di welfare nazionale e locali in relazione a gruppi specifici di popolazione.
In tutto questo un dato è certo: non è vero che in Italia si spende troppo per la spesa sociale e per le pensioni. La cifra complessiva, tra spese sociali generali e pensioni, è infatti al di sotto della media europea. «Si tratta quindi di rialzare la spesa sociale – ha concluso Ferrero – e non di abbassarla come si è detto da più parti in questi mesi anche nell’ambito della maggioranza di governo». E, come già detto, Ferrero individua subito un obiettivo: utilizzare la gran parte del “tesoretto” per aumentare la spesa sociale e avviare un processo di redistribuzione del reddito. Per il ministro della Solidarietà Sociale, non bastano i 2 miliardi e mezzo di cui ha parlato il presidente Prodi. «Il vero problema dell’Italia – ha detto Ferrero – non è l’alta spesa previdenziale, ma la scarsa spesa sociale, visto che stiamo cinque punti sotto la media europea. E’ arrivato il momento di riequilibrare la spesa e di cominciare a redistribuire la ricchezza». A cominciare dalle rendite finanziarie.