Pacifismo

Esprimo il mio rispettoso ma netto dissenso da quanto scrive Piero Bernocchi, indirizzandosi ai parlamentari pacifisti (manifesto, 17 giugno) circa il voto sul rifinanziamento della presenza del contingente italiano in Afghanistan. Il voto favorevole, la cui scadenza a breve termine appare come una ghigliottina sul dibattito ancora possibile all’interno dell’Unione, non implica che si sia favorevoli alla guerra e non è nemmeno una amara pillola da inghiottire per non mettere in crisi il governo Prodi. Se entro i termini costrittivi non si riesce a trovare un accordo all’interno dell’Unione circa ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan dove, è vero, è in corso una vera e propria guerra, dalla quale l’Italia deve uscire, i parlamentari, anche se hanno militato nel movimento con i pacifisti, devono votare con criterio politico e non per solidarietà extraparlamentare. E’ stata già formulata, proprio dalla senatrice Lidia Menapace, l’ipotesi di creare un vero e proprio collegamento, stabile e visibile, fra movimenti e parlamentari. In questa sede possiamo pretendere che la questione non sia chiusa con un eventuale voto di rifinanziamento ma resti vivamente aperta e controversa fino al ritiro dei nostri militari. Per questo non abbiamo bisogno di mettere in difficoltà il governo e il governo non ha bisogno della guerra per essere unito. Al problema dei tempi del ritiro va aggiunto quello della riconciliazione nazionale – in Iraq, in Afghanistan e in Palestina. Le guerre anglo-americano – israeliane in Medio Oriente hanno seminato e incentivato conflitti gravissimi fra popolazioni. Curdi contro baahtisti, sciiti nazionalisti contro sciiti filoiraniani, sunniti contro sciiti, tagiki contro talebani, palestinesi contro palestinesi. Tutti uniti nell’odio verso gli occupanti e tutti divisi nelle loro rivendicazioni identitarie come ha scritto recentemente Rossana Rossanda sul manifesto. E’ l’antico sistema del divide et impera che semina odio e sangue. Prima di andarcene e voltare le spalle al disastro che abbiamo fatto con queste guerre criminali dobbiamo anche preoccuparci della riconciliazione fra insorgenti e collaborazionisti. Non ci ricordiamo della fine di Najibullah dopo il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan? Vogliamo un massacro di tagiki dopo una prevedibile vittoria dei talebani e il ritiro degli inglesi? Il giorno che Capezzone si arrenderà a Diliberto e Karzai tratterà coi talebani potremo dire di aver fatto un passo avanti verso la pace ma occorre subito un cessate il fuoco. Il 30 giugno è troppo vicino.