Pacchetti sviluppo e altre inutili prove di “finanza creativa” per salvare il Wto

Eden Marcellana, segretaria generale dell’organizzazione dei diritti umani Karapatan, uccisa nell’aprile 2003. Juvy Magrino e Leima Fortu, avvocati, uccisi nell’aprile 2004. Ding Fortuna, presidente del sindacato dei lavoratori della Nestlé Filippine, ucciso il 22 settembre 2005. Ricardo Ramos, presidente della Central Azucarera, il sindacato dei lavoratori dello zucchero, ucciso il 25 ottobre scorso. La lista dei caduti potrebbe essere molto più lunga perché lo scontro sociale innescato dalle liberalizzazioni nelle Filippine è sempre più feroce, e colpisce praticamente ogni settore della traballante economia del paese. Dai contadini ai pescatori, dalle lavoratrici delle maquilladoras ai migranti, chiunque tenti di organizzarsi per difendere il proprio posto di lavoro, il proprio salario o anche semplicemente un minimo rispetto dei diritti umani, rischia di fare questa fine. La lettura dei nomi, e l’agghiacciante visione delle foto delle vittime – tutti giovanissimi e tutti giustiziati in modo sommario dai gruppi paramilitari o dalla polizia – è un efficace antidoto contro l’effetto narcotico della retorica buonista del Wto. Quello che ti sbattono in faccia nello stand filippino al Victoria Park è il lato selvaggio della globalizzazione, una prova evidente e concreta delle conseguenze materiali delle decisioni prese dai negoziatori nelle stanze ovattate del potere. Per i movimenti accampati fuori dal palazzo della Convention la terza giornata è dedicata agli incontri, alle assemblee, alle riunioni delle reti internazionali come l’International rural people’s tribunal (il Tribunale internazionale dei popoli rurali), la Coalition of agricultural workers international (la Coalizione internazionale dei lavoratori dell’agricoltura), il Forum dei pescatori artigianali e le numerose reti delle donne. Ed è anche occasione per far conoscere al mondo intero quanto sta accadendo in paesi come le Filippine, dove la ricetta Wto viene applicata con zelo. Nel frattempo, mentre fuori sfila
l’ennesima manifestazione, all’interno del palazzo le trattative sulle liberalizzazioni dei servizi – i cosiddetti Gats – registrano una battuta d’arresto e ieri mattina i giornali davano la colpa agli europei che, sull’agricoltura, non sono disposti a fare concessioni. In realtà nemmeno Stati Uniti e Giappone, le altre due superpotenze economiche globali, sull’agricoltura hanno concesso granché, ma l’abilità del negoziatore statunitense Rob Portman ha messo Paul Mandelson nell’angolo. Portman ha aperto la conferenza stampa citando un famoso rapinatore di banche – delizioso lapsus freudiano – per poi scagliarsi a testa bassa contro il mercato europeo che, a ifferenza di quello Usa «è ancora molto chiuso alle importazioni dei prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo». Naturalmente sui sussidi alle esportazioni, sugli aiuti alimentari utilizzati per smaltire le eccedenze dell’agrobusiness (come ha denunciato il delegato dello Zambia) e sul sostanzioso sostegno ai produttori americani Portman non dice niente e, cosa più preoccupante, tacciono
anche le due potenze emergenti, India e Brasile, che sembrano allineate agli americani nel definire «decisamente insufficienti» le proposte europee. La posizione di Washington è molto chiara: bisogna portare al centro delle trattative i negoziati sui prodotti industriali (i Nama) e sui servizi (i Gats) «perché lì sono i soldi e quindi la vera occasione di sviluppo » ha dichiarato Portman in conferenza stampa, ed è solo «la reticenza europea» a causare le residue resistenze dei paesi in via di sviluppo. Per tutti gli altri, per i cosiddetti Paesi meno sviluppati ma anche per chi non ce la farebbe ad ammortizzare gli effetti deleteri dei nuovi accordi, sono a disposizione i cosiddetti “pacchetti sviluppo”, che comprendono anche gli aiuti al commercio, da destinarsi naturalmente soltanto a chi accetterà di sottoscrivere l’accordo finale. Peccato che, fatti due conti, i famosi pacchetti sviluppo risultino completamente vuoti. O meglio, secondo una strategia collaudata al G8, dentro ci sono sempre gli stessi soldi che vengono ribattezzati a seconda dell’esigenza mediatica, con una nuova definizione. Il gioco delle tre carte, smascherato con un’azione “natalizia” condotta da Our world is not for Sale – la cordata delle organizzazioni internazionali che si battono contro il Wto – nei corridoi dei piani alti, consiste nel far passare per nuovi gli stanziamenti già decisi altrove. Per questo i leader storici del movimento internazionale – da Walden Bello di Focus on the Global South a Tony Clarke del Polaris Institute canadese, solo per citarne un paio – si sono mascherati da babbo natale per consegnare a Mandelson dei pacchi regalo vuoti come quelli promessi dal negoziatore. Fra canti natalizi riarrangiati per l’occasione e spintonamenti fra fotografi e telecamere, i corridoi della Convention si sono improvvisamente riempiti di giornalisti e rappresentanti delle ong accreditate che il servizio d’ordine interno non riusciva a contenere. Oltretutto la cinica strategia dei “pacchetti sviluppo” rischia di trasformarsi in un boomerang per i negoziatori. Dopo avere promesso miliardi come fossero noccioline il negoziatore americano, messo alle strette dai giornalisti, è stato costretto ad ammettere di non avere alcun mandato per stanziare nuovi fondi che, quindi, «richiedono un nulla osta del Congresso». Il che, considerando che gli Usa «sono un paese in bancarotta» come ha dichiarato Anuradha Mittal di Our World is Not for Sale, è un’ipotesi davvero improbabile. A Mandelson
comunque potrebbe andare ancora peggio. Le promesse del negoziatore europeo rischiano di aprire un conflitto all’interno del Consiglio d’Europa che si riunisce questa sera (per chi scrive), fra i paesi del nord che hanno rispettato l’impegno di stanziare lo 0,7 in aiuti allo sviluppo e quelli, come l’Italia, che sono arrivati appena allo 0,16 per cento. Chi tirerà fuori questi soldi? E chi autorizza Mandelson a trasformare gli aiuti allo sviluppo decisi dalle Nazioni Unite in aiuti al commercio, vincolati cioè all’accettazione dei nuovi accordi Wto? Ma il colpo migliore i “cani da guardia” lo hanno assestato nel pomeriggio, quando ormai sembrava che l’accordo fosse in dirittura d’arrivo, praticamente già sottoscritto da India e Brasile. Con l’aiuto delle talpe all’interno delle stanze verdi alcune ong del nord del mondo sono venute in possesso dei testi che circolavano fra i negoziatori europei, e hanno scoperto che erano sostanzialmente diversi da quelli ufficiali presentati alle delegazioni governative. A quel punto i testi veri sono stati passati alle ong del sud del mondo – principalmente il Third World Network di Martin Khor – che a loro volta li hanno girati al South Center, organismo intergovernativo che fa da segretariato ai paesi in via di sviluppo. Arrivando sul tavolo dei negoziatori che fanno parte del G90 (Africa, Carabi e Pacifico), i testi veri hanno provocato un vero sconquasso. Già contrari a sottoscrivere il negoziato sui servizi ma restii a prendere una posizione dura dopo il riposizionamento di India e Brasile, i G90 si sono letteralmente infuriati, e hanno minacciato di far saltare il banco. Giunto in possesso dei veri testi anche il negoziatore brasiliano ha annunciato una marcia indietro e, inaspettatamente, il “fronte Sud” di Cancun sembra ricomporsi. In una conferenza stampa non programmata torna a farsi sentire il G20, con la richiesta di riscrivere l’accordo da capo rimettendo al centro della scena il problema del cotone, vitale per i paesi africani.
Così, nella partita a scacchi di Hong Kong – ma forse è meglio chiamare in causa il poker visto l’alto tasso di bluff e scorrettezze registrati in queste ore – i giochi si riaprono proprio quando sembravano chiusi. Saranno in pochi, stanotte, a passare la notte nel proprio albergo.