Su mandato della Slc nazionale e al prezzo simbolico di 1 euro, Luigi Marconi di Practice Audit e Sergio Cusani di Banca della Solidarietà hanno messo in fila i numeri di otto anni di attività del Gruppo Telecom Italia (dal 1999 al 2006) per capire l’evoluzione economico finanziaria della società e la situazione in cui attualmente si trova. “Un lavoro – avverte Marconi – che si basa sui dati ufficiali forniti dal gruppo – dati di bilancio per gli anni 1999- 2005 e semestrale 2006 – e viene condotto solo a fini conoscitivi”. Con lo stesso intento negli anni scorsi sono stati analizzati i bilanci del Gruppo Fiat e probabilmente, come ha anticipato Guglielmo Epifani, verranno studiati quelli di importanti società di trasporto pubblico (Alitalia e Ferrovie dello Stato) e del settore finanziario assicurativo (polo Mediobanca Generali).
Nel periodo considerato emergono tre importanti dati di fondo. Il primo riguarda l’esponenziale crescita degli investimenti in attività immateriali che passano da 2,7 miliardi di euro del ’99 a 50 miliardi e mezzo del primo semestre 2006: una crescita dovuta soprattutto agli avviamenti, mentre contenuta risulterebbe l’incidenza di investimenti per marchi e diritti di brevetto. In particolare per le immobilizzazioni immateriali si hanno tre passaggi importanti, nel 2000, nel 2003 e 2005. Nel primo anno si registra l’acquisizione di Seat Pagine Gialle (comprata per 6,5 miliardi e venduta nel 2003, dopo due svalutazioni, per 3 miliardi), l’acquisto di licenze Umts per 2 miliardi e 400 milioni, oltre che la continuazione della campagna acquisti con partecipazioni in Spagna e nell’area del Mediterraneo. Nel 2003 la crescita delle immobilizzazioni immateriali è dovuta alla fusione di Telecom Italia con Olivetti (23 miliardi), mentre nel 2005 la fusione con Tim ha generato l’iscrizione di 16,5 miliardi di avviamento.
Nell’insieme del periodo il gruppo ha investito in attività immateriali 63 miliardi di euro che però al netto di dismissioni, ammortamenti e differenze tra consolidamento e avviamento, si riducono a 37 miliardi netti. Il secondo dato riguarda i ricavi che nel periodo risultano sostanzialmente stabili, assestandosi dal 2000 in poi attorno ai 30 miliardi annui. Terzo aspetto, l’utile di esercizio, che nel 2001 e 2002 subisce una caduta molto consistente (l’utile netto in rapporto ai ricavi è pari rispettivamente a -5,3 e all’1 per cento), “riconducibile – spiega Marconi – alle operazioni di svalutazione sull’acquisto di partecipazioni”. In particolare il totale delle svalutazioni in questo periodo (partecipazioni e crediti) è pari a 18 miliardi di euro. “In sostanza – commenta Cusani – l’unica operazione riconducibile al core business è data dalla fusione Telecom- Tim del 2005, mentre in generale la gestione delle partecipazioni ha drenato ingente liquidità, non ha supportato i risultati e non ha consentito il presidio di mercati che la concorrenza considera strategici”. Il patrimonio netto del gruppo aumenta nell’insieme del periodo di 7 miliardi (da 19,8 a 25,6 miliardi) pur subendo una variazione importante tra il 2000 e il 2002 quando si dimezza, passando da 24 a 12 miliardi di euro. “Si tratta di un taglio netto – chiarisce Marconi – dovuto al doppio effetto dei negativi risultati di esercizio di quegli anni e della politica di distribuzione dei dividendi, che è proseguita in modo indipendente dai risultati di esercizio”.
Il dato aggregato dice che gli utili generati dal gruppo nell’intero periodo sono 12,3 miliardi mentre i dividendi distribuiti agli azionisti anche negli anni di perdita nell’insieme assommano a 22 miliardi. Non stupisce quindi che l’indebitamento netto della capogruppo passi da 8 a 42 miliardi, verificandosi inoltre un sostanziale cambiamento nella sua composizione: la maggioranza delle passività finanziarie vengono trasferite dalle banche al mercato con l’emissione di obbligazioni pari, a giugno 2006, a quasi 32 miliardi. Infine il dato dell’occupazione. I dipendenti del gruppo passano da 122.662 a 84.695, con una contrazione più forte in Italia dove oggi risultano pari a 70.637 persone (-40 per cento). È anche l’effetto di esternalizzazioni e outsourcing di funzioni aziendali che, se da un lato ha ridotto l’incidenza del costo del lavoro rispetto al totale dei costi in Telecom, aumentandone per converso la produttività, non ha probabilmente migliorato la qualità del servizio reso agli utenti e neppure la qualità delle condizioni di lavoro degli addetti “esternalizzati”.
(www.rassegna.it, Rassegna sindacale, marzo 2007)