Orhan Pamuk, la Turchia ci ripensa

La Turchia riconoscerà a breve l’esistenza di una questione armena? E’ certamente presto per dirlo, ma la decisione della magistratura turca di archiviare il processo a carico dello scrittore Orhan Pamuk apre uno spiraglio importante in un paese talmente legato al concetto di “identità nazionale” da mettere ai margini e perseguitare tutti coloro che si rifanno a tradizioni culturali e religiose diverse. Pamuk, letterato di fama internazionale (i suoi romanzi sono stati tradotti in oltre quaranta lingue), figlio di genitori benestanti e laureato all’Istituto di Giornalismo dell’Università di Istanbul, è sempre stato un intellettuale scomodo per l’establishment turco. Costretto all’esilio per anni nel tentativo di sfuggire alla repressione dei militari turchi, nel 1995 era tra un gruppo di autori sotto processo per aver puntato l’indice contro la politica delle autorità turche nei confronti dei kurdi. Aveva poi rifiutato il titolo di “artista di Stato” e lo scorso anno era stato appunto incriminato per aver rilasciata un’intervista ad una rivista svizzera dove accusava esplicitamente la Turchia del massacro di un milione di armeni e di trentamila kurdi durante la Prima guerra mondiale. Un vero e proprio genocidio, non a caso paragonato alla Shoah e ricordato in occasione della Giornata della Memoria, le cui responsabilità storiche, però, non sono mai state ammesse dagli eredi di Kemal Ataturk e sono tuttora oggetto di una vera e propria “guerra diplomatica” tra Ankara e l’Europa. Il Vecchio continente ha spesso chiesto che il riconoscimento di quello sterminio fosse una condizione indispensabile perché il paese euro-asiatico potesse entrare nell’ormai affollata famiglia europea.
Riconoscimento mai arrivato, ma ora, come dicevamo, l’archiviazione del processo a carico di Pamuk, iniziato lo scorso 16 dicembre e poi sospeso in attesa di una decisione del ministro della Giustizia, può essere un segnale importante. La strada è però tutt’altro che agevole. Basti pensare che, malgrado la notorietà e la popolarità della quale gode in patria, Pamuk è stato oggetto di un vero e proprio linciaggio da parte dell’opinione pubblica turca e delle istituzioni: solo per fare un esempio, un sottoprefetto di Isparta ordinò, in chiaro stile nazista, la distruzione dei suoi romanzi nelle librerie e nelle biblioteche.

La decisione di non processarlo è stata basata, almeno formalmente, su una serie di incongruenze di un Codice penale, come quello turco, impresentabile agli occhi di qualsiasi paese democratico. Ma, in questo caso, è stata determinante la notorietà dello scrittore. Pamuk, del quale è stato da poco tradotto in Italia uno dei suoi romanzi più famosi, Il mio nome è rosso (Einaudi, pp. 439, euro 11,80), uscito in Turchia nel 2000 e ambientato nella Istanbul del sedicesimo secolo, ha vinto premi letterari in tutto il mondo. Proprio il testo citato, tradotto in 24 lingue, si è aggiudicato il più remunerativo dei premi internazionali, come l’International Impac Dublin Literary Award, ed ha vinto anche in Italia il premio Grinzane Cavour 2002. La sua carriera letteraria è iniziata nel 1974, quando, appena ventiduenne, vinceva, insieme a Mehmet Eroglu, il premio Milliyet con Oscurità e luce.

Dopo lo stretto naturalismo dei suoi primi scritti si avvicina al postmodernismo e nel 1990 pubblicava il romanzo che lo renderà popolare in patria, Il libro nero. Cinque anni dopo La nuova vita è un vero e proprio best-seller in Turchia. Sono gli anni della notorietà da un lato, e dell’impegno politico dall’altro, due aspetti della personalità di Pamuk che creano non pochi imbarazzi al governo. Nel 2002 e nel 2003 i suoi due ultimi romanzi, Kar e Istanbul, Hatiralar ve Sehir, quest’ultimo autobiografico, denso di ricordi legati all’infanzia. I temi trattati da Pamuk affrontano uno dei nodi cruciali, tuttora irrisolto, della Turchia moderna, ovvero la convivenza tra i valori occidentali, che nel paese di Ataturk hanno assunto caratteristiche autoritarie e militariste, e quelli islamici. Un connubio che, allo stato attuale delle cose, non ha ancora partorito istituzioni democratiche, nel senso almeno che a questo termine si dà in Europa.

Ora, dopo l’apertura nei confronti di Pamuk, l’obiettivo è il pieno riconoscimento della libertà di espressione per tutte le cittadine e i cittadini turchi, molti dei quali ancora in carcere, come il leader dei kurdi Abdullah Ocalan, o sotto processo solo per aver espresso opinioni diverse da quelle governative. E l’ammissione che la storia della Turchia moderna è piena di pagine oscure con le quali i turchi non possono non fare i conti.