Ordine del giorno di “Essere comunisti” al CPN del 9-10 aprile 2005

Partito della Rifondazione Comunista

ORDINE DEL GIORNO DELLA MINORANZA “ESSERE COMUNISTI”
Al Cpn 9-10 aprile 2005

1. Con le elezioni regionali e amministrative del 3 e 4 aprile giunge a compimento un vero e proprio passaggio di fase. La crisi politica della Casa della Libertà, causata in particolare dal crollo di Forza Italia, si approfondisce e ora si evidenzia in proporzioni consistenti, non immaginabili ancora alla vigilia del voto. La sconfitta della destra lascia finalmente intravvedere, concreta e prossima, la liberazione del Paese dal governo Berlusconi e la cacciata di una coalizione di forze reazionarie, post-fasciste e razziste che nel giro di quattro anni hanno gettato l’Italia in una criminale avventura bellica, duramente colpito gli interessi dei lavoratori, provocato seri guasti al sistema produttivo, sferrato durissimi colpi alle istituzioni repubblicane e minato in profondità il tessuto morale e civile del Paese. L’elenco dei terreni sui quali si sono scaricati i disastrosi effetti dell’azione delle destre basta di per sé a cogliere la portata storica del sommovimento elettorale di cui siamo in primo luogo chiamati a ragionare. La sconfitta di Berlusconi e della sua coalizione rappresenta innanzi tutto il riaprirsi di una speranza per tutti coloro che auspicano politiche di pace e di giustizia sociale e per quanti hanno a cuore le sorti della democrazia di questo Paese.
La viva soddisfazione procurata dal voto regionale è accentuata in misura rilevante dal successo del compagno Nichi Vendola nella competizione contro il centro-destra per la conquista della presidenza della Regione Puglia. Senza con ciò sottacere le nostre persistenti critiche a una legge elettorale che esaspera le tendenze al bipolarismo e alla personalizzazione della politica, la vittoria del compagno Vendola è un successo del Partito della Rifondazione Comunista ed è una vittoria per tutti i pugliesi e per tutto il Mezzogiorno democratico, che con la sua elezione affidano alla politica domande pressanti di sicurezza del lavoro, di risanamento del territorio dall’inquinamento politico-mafioso, di pace, di rispetto delle libertà e dei diritti sociali e civili.
A fronte di questi due importanti aspetti positivi, rimane tuttavia un terzo elemento marcatamente negativo. Il Partito della Rifondazione Comunista ha perso in queste elezioni sia in percentuale (-0,7%) sia in termini di voti rispetto alle elezioni europee del 2004, rispetto cioè al primo grande test elettorale successivo alla vittoria delle destre e alla grande irruzione dei movimenti a Genova, dopo l’attacco all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e dopo lo scoppio della guerra contro l’Iraq. Si tratta di un dato che non può essere ignorato o anche solo sottovalutato, se si considerano in particolare tre dati di fatto:
– questo arretramento smentisce seccamente le ottimistiche previsioni della vigilia, autorizzando il dubbio che si sia appannata la capacità del Partito di avere il polso del Paese anche solo per quanto concerne il proprio elettorato;
– l’insuccesso elettorale del Prc colpisce se lo si legge a fronte del grave malessere seminato nel Paese dalle politiche praticate dalle destre, che hanno alimentato forti istanze di tutela del lavoro, del salario, della pace: tutte istanze che Rifondazione Comunista avrebbe dovuto intercettare e saper trasformare in maggiore capacità di rappresentanza;
– in terzo luogo (ma si tratta forse dell’aspetto più sorprendente, che più ci deve interrogare), l’arretramento del Partito si verifica nel quadro di una generale avanzata delle forze di opposizione, un’avanzata complessiva del centro-sinistra in tutte le sue componenti, di cui Rifondazione Comunista appunto non riesce ad avvantaggiarsi.

2. È dunque necessario analizzare approfonditamente questo risultato negativo. Sorvolare sulle ragioni che lo hanno determinato sarebbe un atteggiamento pericoloso e risulterebbe non comprensibile da parte del corpo del Partito.
La perdita di consensi fatta registrare dal Prc ci pare essenzialmente riconducibile a due ordini di cause.
In primo luogo, non si è adeguatamente operato al fine di caratterizzare la presenza di Rifondazione Comunista nell’ambito dell’Unione rendendone evidente l’azione di condizionamento. Ciò si è rivelato tanto più nefasto in assenza di una riconoscibile iniziativa programmatica della coalizione stessa. Avere condotto il confronto con le altre forze di opposizione anteponendo la decisione di entrare nell’alleanza a qualsiasi discussione sui programmi e sugli obiettivi concreti cui condizionare questa nostra partecipazione, ha indebolito il profilo politico e la funzione propositiva del Partito. In conseguenza di tale condotta, l’elettorato ha potuto riconoscere il nostro contributo alla comune battaglia democratica contro le destre, ma non è stato posto in condizione di comprendere quale apporto specifico il Prc intenda fornire a questa battaglia e al progetto di costruzione di un eventuale nuovo governo. Non sorprende, stando così le cose, che ad avvantaggiarsi della vittoria del centro-sinistra siano state le forze moderate della coalizione, favorite dalle loro maggiori dimensioni nel tentativo di presentarsi come i più affidabili interlocutori dell’elettorato democratico e popolare.
A questo primo elemento si è sommato il grave deficit di radicamento del nostro Partito, che genera conseguenze ancor più negative in occasione di elezioni regionali e amministrative, nelle quali è quanto mai essenziale il rapporto con il territorio, con i luoghi concreti del conflitto, con le soggettività presenti nel Paese. Tanto più grave appare quindi il continuo rinvio di una discussione seria sulle necessità strutturali e organizzative del Partito. Altrettanto preoccupante – mentre in linea di principio si riconosce l’importanza decisiva del radicamento sociale e territoriale – appare la tendenza, di fatto presente nel nostro Partito, a trasformarsi in un partito di opinione, che concentra la propria attenzione intorno agli appuntamenti elettorali e vive per il tramite di poche figure visibili. Occorre quindi che il tema del Partito, della sua organizzazione e del suo radicamento, torni al centro della nostra agenda politica, con un confronto serrato che ci metta in condizione di recuperare rapidamente il terreno perduto.

3. Se è vero che la sconfitta politica del centro-destra è stata netta, e se possiamo anche ritenere che questa sconfitta segni effettivamente lo sfaldamento del blocco sociale che nel 2001 affidò a Berlusconi la guida del Paese, ciò tuttavia non basta a garantire che si sia definitivamente esaurita l’egemonia delle politiche neo-liberiste. Il rischio che oggi torna a profilarsi, mentre il centro-destra entra in una crisi verticale, è che le forze prevalenti del centro-sinistra si ricandidino quali referenti dei poteri forti, rinunciando a realizzare una visibile discontinuità con le politiche neo-liberiste praticate dai governi dell’Ulivo nel corso degli anni Novanta.
Le ricorrenti dichiarazioni di Prodi, Rutelli, D’Alema e Fassino non lasciano del resto dubbi in proposito. Si evita di impegnarsi nello smantellamento della legislazione berlusconiana in tema di lavoro, pensioni, scuola e università, migranti; non si incalza il governo affinché ritiri le truppe italiane dai teatri di guerra, a cominciare dall’Iraq. Per contro, si rivendicano con orgoglio le privatizzazioni e la partecipazione alla guerra in Kosovo, lanciando persino messaggi di apprezzamento all’indirizzo del presidente americano. La recente intervista del segretario dei Ds (nella quale si promettono sgravi fiscali e nuova flessibilità) e l’ultima sortita di Prodi (che rassicura il governo circa la durata della legislatura e giunge a offrire collaborazione a Berlusconi nella politica economica) offrono una sintesi emblematica di tali orientamenti.
Il rischio è che queste posizioni prevalgano e caratterizzino sostanzialmente l’azione di un futuro governo di alternativa alle destre. A questo rischio non si è sin qui opposta un’adeguata reazione e ciò ha finito per assecondare l’azione dei maggiori partiti dell’Unione, impegnati a imprimere sulla coalizione il proprio marchio moderato. Da ultimo, la scelta di non incalzare il governo chiedendone le dimissioni, di non sviluppare una forte iniziativa nel Paese e nelle istituzioni per delegittimarlo e determinarne la definitiva crisi, rischia seriamente di rafforzare l’anima moderata dell’Unione.
Occorre tutt’altra risposta: una reazione forte, capace di interpretare quella domanda di cambiamento che si è manifestata non solo nel voto regionale ma anche nella grande manifestazione del 19 marzo a Roma, la quale ha visto oltre 50mila persone scendere in piazza contro la guerra e contro la permanenza delle basi Usa e Nato sul territorio italiano, pur in assenza dei sindacati confederali e dei maggiori partiti del centro-sinistra.
Una risposta forte è necessaria, per dare alla nostra gente il segno d’esser stata compresa, di essere rappresentata all’altezza dello scontro in atto. Il Partito deve farsi subito promotore di una iniziativa congiunta con le altre forze poltiche e sociali della sinistra di alternativa, affinché il programma dell’Unione assuma impegni programmatici avanzati sul terreno sociale e politico e sul piano internazionale, guardando a quel passaggio delicato e niente affatto acquisito che sono le sempre più prossime elezioni politiche.

Claudio Grassi
Bianca Bracci Torsi
Alberto Burgio
Bruno Casati
Beatrice Giavazzi
Damiano Guagliardi
Gianluigi Pegolo
Fausto Sorini