Incursione degli hezbollah al confine con Israele: 7 militari uccisi e 2 rapiti. Minacce di escalation. Olmert annuncia una rappresaglia israeliana «molto dolorosa». Usa e Israele accusano l’Iran e soprattutto la Siria. L’incendio si allarga in Medio Oriente. Bisogna cominciare a temere che spegnerlo sarà ancor più difficile e, al contrario, stiano crescendo i rischi che sfugga di controllo.
Dopo due settimane di brutale castigo collettivo inflitto dagli israeliani ai palestinesi di Gaza – con il pretesto formale della liberazione di un militare e lo scopo sostanziale di distruggere il governo di Hamas -, ieri mattina si è aperto (o riaperto) un nuovo fronte quando gli hezbollah libanesi, che dal 2000 controllano la frontiera sud con Israele, dopo un lancio di razzi katyusha contro la città di Shlomi (Alta Galilea) e le postazioni israeliane nella zona contestata della Fattorie di Shebaa (forse un diversivo), si sono scontrati con i soldati israeliani in un’altra zona. Tre sono stati uccisi e 2 sequestrati in un’incursione oltre confine partita dalla località di Aita al-Shaab, 15 km dalla costa del Mediterraneo, altri 4 sono morti nella contro-incursione israeliana in territorio libanese.
Immediate le reazioni di Israele. Il premier Ehud Olmert ha accusato il Libano di «un atto di guerra» e ha promesso una «risposta molto dolorosa e a largo raggio». Il generale Dan Halutz, capo delle forze armate, ha minacciato il Libano di «riportare l’orologio indietro di 20 anni» – in riferimento all’operazione «Pace in Galilea» dell’82 (degnamente coronata dalle stragi di Sabra e Chatila). Israele ha richiamato 6 mila riservisti, spediti al confine libanese. Poi sono cominciati i raids con bombardamenti dal cielo e dal mare contro ponti sul fiume Litani e l’autostrada nord-sud fra Tiro e Sidone (due civili uccisi), e sono entrati i carri armati, anche se per il momento non risulta stiano avanzando. Per ieri pomeriggio erano fissate riunioni d’emergenza del governo libanese e del governo israeliano. La Lega araba pensa a una riunione urgente nel timore «di un possibile attacco israeliano alla Siria». A New York, dove l’accoppiata Usa-Israele blocca a due settimane dall’attacco israeliano su Gaza (con più di 60 morti, fra cui civili e bambini) qualsiasi passo di uno scandaloso Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore israeliano Dan Gillerman ha presentato una protesta per la mancata osservanza da parte del Libano della risoluzione che obbligava il governo di Beirut a disramare le milizie e a mandare l’esercito nazionale a controllare i confini meridionali (si noti il pulpito da cui viene la protesta). L’inviato di Kofi Annan in Libano, Gier Pedersen, ha chiesto «a tutte le parti di adoperare la massima moderazione» ed «evitare una nuova escalation», mentre il segretario generale, in visita a Roma, dopo un incontro con Prodi, ha auspicato «l’immediato rilascio dei soldati israeliani rapiti» e «condannato la rappresaglia israeliana nel Libano meridionale». Hussein Nasrallah e Mohammad Kawtharani, leader hezbollah, hanno messo in guardia Israele: l’unica strada per recuperare i soldati è un negoziato «indiretto» , attenti a «non commettere follie», «noi non vogliamo l’escalation ma se voi la volete noi siamo pronti». L’obiettivo degli hezbollah è quello, come sperimentato più volte con successo in passato, di costringere Israele a trattare lo scambio fra prigionieri e arrivare alla «liberazione dei detenuti arabi» sequestrati in Libano e Palestina e chiusi nelle carceri israeliane.
Ma i rischi sono grandi e crescenti. Usa e Israele hanno già cominciato a dire che dietro l’azione degli hezbollah ci sono Siria e Iran, che è stato il leader più radicale di Hamas, Khaled Mashaal, a chiedere l’appoggio di Damasco e Tehran per allentare la (re)pressione israeliana a Gaza. I caccia di Israele hanno qualche giorno fa hanno già compiuto un’incursione dimostrativa sulla capitale siriana. Quale sarà la prossima mossa?
L’azione di ieri degli hezbollah ha suscitato l’entusiasmo nei settori sciiti libanesi e nei campi profughi palestinesi in Libano – sono stati distribuiti dolci e sparate raffiche di kalashnikov in aria -, al Cairo Mohamed Mahdi Akef, guida spirituale dei Fratelli musulmani, si è felicitato con gli hezbollah – che «hanno fatto quello che i governi arabi non hanno saputo fare». Ma la situazione è esplosiva.