Ora la missione divide la sinistra

«Il senso ed il ruolo della missione internazionale in Afghanistan, di cui l’Italia fa parte, non cambiano»: Romano Prodi, a caldo, pochissimi minuti dopo essere stato informato, a New York, dell’avvenuta liberazione dei due funzionari del Sismi, ha messo le carte in tavola. Il sequestro, il blitz militare, il pesante bilancio dell’operazione non possono, in alcun modo, mettere in dubbio la presenza dei nostri militari in quel paese. Una precisazione che ha addirittura anticipato i malumori del segretario del Pdci, Oliviero Diliberto che, di lì a poco, da Roma, avrebbe chiesto l’immediato rientro dei nostri soldati: «Esprimo grande soddisfazione per la liberazione degli ostaggi, faccio anche i complimenti ai militari che hanno compiuto l’operazione, ed auguro la pronta guarigione ai militari rimasti feriti. Ma ora ribadisco con forza la linea del mio partito: l’immediato ritiro delle truppe dall’Afghanistan».
Queste parole, però, non sono state, come accaduto in precedenza, la fotografia di una lacerazione della maggioranza, quanto di una spaccatura all’interno della stessa ala sinistra della coalizione. Rifondazione, Verdi (che pure hanno criticato la scelta del blitz militare a scapito della trattativa: «Bene questa volta, ma non diventi una regola», ha ammonito il sottosegretario Paolo Cento) e la Sinistra Democratica hanno immediatamente preso le distanze da Diliberto e dal Pdci: «Ha espresso una posizione inopportuna -ha detto, senza mezzi termini, il ministro dell’Università, Fabio Mussi, esponente di Sd – Anche il Prc si è distinto, giustamente, dalla posizione di Diliberto. Detto questo, è del tutto legittimo discutere del futuro della missione in Afghanistan».
E, allora, nell’ala pacifista della coalizione, si sta facendo strada la necessità di avviare finalmente quell’offensiva diplomatica che non si è ancora concretizzata. «Nel programma – ha ammesso il responsabile degli Esteri dei Ds, Marina Sereni – c’era scritto che saremmo andati via dell’Iraq, ma che non ci saremmo ritirati dall’Afghanistan. Sono due cose diverse: siamo a Khabul per conto della Nato». «Dobbiamo ottenere – ha però aggiunto Rifondazione – che si arrivi finalmente alla conferenza di pace: fin tanto che in Afghanistan ci saranno truppe militari, non si troverà alcuna soluzione».
Un’opzione non facile da perseguire: proprio ieri, il portavoce dell’Onu, Adrian Edwards, ha spiegato che la pace è ancora lontana: «Servirà ancora molto tempo prima che governo e tale-bani si siedano ad un tavolo dei negoziati». Il “caso Afghanistan”, insomma, è soltanto accantonato nel centrosinistra. Se ne potrebbe parlare già nel vertice di maggioranza di mercoledì. Sicuramente se ne discuterà prima della fine dell’anno, quando il Parlamento deciderà il rifinanziamento delle nostre missioni militari all’estero.
Le parole del segretario del Pdci avevano fatto scattare immediate reazioni nella Cdl: la Lega ha subito chiesto le dimissioni di Prodi per le “insanabili contraddizioni” della sua coalizione; «Come può restare al governo un partito, quello dei “Comunisti italiani”, che non intende far partecipare l’Italia ad uno sforzo comune per la pace», ha incalzato il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti; il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, ha chiesto un dibattito parlamentare per verificare la maggioranza sulla politica estera. Ma poi, a fronte dell’isolamento in cui era finito Diliberto, anche l’opposizione ha cambiato strategia. E così, a metà pomeriggio, il leader di An, Gianfranco Fini, è intervenuto (unico, tra i big della politica, presenti nell’aula di Montecitorio) nel dibattito che ha fatto seguito alla “informativa” del ministro Parisi e si è limitato a chiedere: «Non sarà arrivato il momento di cambiare le regole di ingaggio per i nostri militari?». Di DÌÙ: l’ex viceDremier ha aggiunto:
«Non ho difficoltà ad esprimere l’apprezzamento per l’informativa che ha tempestivamente fornito in Parlamento. Anche essersi assunto la responsabilità della scelta militare le fa onore».
Toni concilianti che non si sentivano, in Parlamento, da molti mesi. Ma che non hanno spostato di molto lo scenario: «Nessun cambiamento delle regole di ingaggio – ha immediatamente risposto a Fini il capogruppo di Rifondazione, Migliore – Se lo facessimo, e facessimo svolgere i nostri militari ad operazioni belliche, li esporremmo a rischi ancora maggiori».