Ora la lustracja agita la Polonia

Quando a Varsavia è giunta la notizia – e quasi nessuno se l’aspettava – che gli Europei 2012 di calcio sarebbero stati organizzati dal tandem Polonia-Ucraina, in molti hanno gioito e festeggiato e il giorno successivo le quotazioni del mercato immobiliare nelle principali città polacche sono salite del 20%. Oltre alla gente comune e agli addetti ai lavori, i più contenti di Euro 2012 erano i fratelli Kaczynski: Lech e Jaroslaw, rispettivamente presidente della repubblica e primo ministro (e da ieri, guarda caso, anche presidente del comitato organizzatore degli Europei del 2012 per la Polonia). Un evento di tale portata, speravano i gemelli, avrebbe di sicuro spostato il dibattito politico nazionale su tematiche leggere come quelle calcistiche, dando tregua al fuoco di polemiche che da qualche tempo investe ogni santo giorno l’attuale governo polacco.
Tutto ciò non è avvenuto. Da quando lo scorso 15 marzo è entrata in vigore la «nuova lustracja», voluta dal governo nazionalista e di estrema destra, in Polonia si è aperto un aspro dibattito su merito e metodo di applicazione della legge stessa. La nuova lustracja obbligherà più di 700mila persone tra cui giornalisti, docenti universitari, avvocati, politici, insegnanti, giudici, intellettuali e buona parte del tessuto civile e culturale polacco a confessare se abbiano o meno collaborato col passato regime comunista in un periodo compreso tra il 1945 e il 1989. Dovranno compilare dei moduli appositi i quali, a loro volta, verranno inviati all’Istituto della memoria di Varsavia che procederà alla verifica dei medesimi comparandoli con gli archivi dei servizi segreti comunisti.
E’ dell’altro ieri la notizia che l’europarlamentare Bronislaw Gemerek, consigliere di Walesa ed ex ministro degli esteri dal 1997 al 2000, ha rifiutato di compilare il formulario inviatogli dal governo che per tutta risposta ha minacciato di epurarlo dalla carica di parlamentare europeo. Apriti cielo: il dibattito sulla lustracja, fino a poche settimane fa relegato nella politica interna polacca, adesso ha valicato i confini nazionali ed è approdato all’attenzione della Ue.
All’indomani dell’entrata in vigore della legge, in Polonia si è acceso un aspro dibattito. I partiti d’opposizione hanno presentando ricorso alla corte costituzionale, che dovrà pronunciarsi entro il 10 di maggio. A sostegno dell’opposizione si sono schierati influenti opinionisti e la quasi totalità dei media indipendenti. Marek Beylin opinionista di Gazeta Wyborczia, il più grande quotidiano polacco, non usa mezzi termini: «Questa è una legge – dice – di stampo maccartista». Il giornale per cui scrive è stato il primo in Polonia a criticare aspramente la lustracja dei fratelli Kaczynski. «Questa legge – spiega Beylin – sta dividendo profondamente la nostra società, viene utilizzata dal governo come strumento di potere per zittire chiunque la pensi diversamente, per tappare la bocca agli oppositori. Indicare chi e quale persona vada delegittimata senza prove certe sul grado di coinvolgimento col passato regime è una violazione delle libertà civili e un pericolo per la democrazia». Marek Beylin è convinto che la corte costituzionale si esprimerà contro l’attuale formulazione della legge di «lustrazione».
Il governo accusa critici ed oppositori di fare semplice speculazione politica, bollandoli come anti-patrioti e persone di dubbia moralità che cercano di nascondere i propri scheletri nell’armadio. Il governo polacco ha ribadito più volte che considera suo dovere fare chiarezza sui «crimini comunisti» in Polonia e su chiunque abbia collaborato col passato regime. «E’ un diritto di tutti i polacchi – ha detto Kaczynski in un’intervista – sapere chi è stato un collaborazionista e chi no, tutto ciò non ha niente a che fare con le libertà civili». Ma la situazione in Polonia, al contrario di quello che dicono i fratelli Kaczynski, è tutt’altro che normale e il clima che si respira è quello di una pervasiva e strisciante caccia alle streghe.
L’esempio è arrivato qualche giorno fa, intervistando un’importante personalità accademica polacca sugli effetti della lustracja. «Stiamo vivendo – spiegava il professore – una situazione paradossale. Già nove anni fa avevamo firmato un modulo simile a questo e la nuova lustracja ci obbliga a rifare lo stesso gesto con l’aggravante che se non accetti di farlo, rischi di essere licenziato e allontanato da qualsiasi carica pubblica, oltre a subire la gogna mediatica». Docente di diritto internazionale ed esperto in materia di diritti umani, nonché un ex militante di Solidarnosc, il «professore» spiegava con pacatezza che la lustracja del 1997 riguardava poche cariche pubbliche, mentre la legge attuale ha allargato le indagini su ogni attività che abbia a che fare con la vita pubblica coinvolgendo giornalisti, docenti universitari, intellettuali. «Le persone incaricate delle indagini – aveva aggiunto – non sono magistrati ma storici dell’Istituto della memoria. In base a cosa uno storico può decidere della colpevolezza o dell’innocenza di una persona? Se dovessimo accusare di collaborazionismo tutti i polacchi che hanno avuto contatti con i servizi comunisti, anche Giovanni Paolo II rischia di essere lustrato». Parole normali, insomma. Ma il giorno dopo l’intervista, il professore ha richiamato: «Questi sono tempi strani per la Polonia – ha detto dimesso – e dopo essermi consultato con i miei collaboratori le chiedo la cortesia di non fare il mio nome».
Un altro aspetto dell’intera vicenda sul quale porre attenzione è la discrasia tra il governo Kaczynski e la società civile. Dopo molte interviste, il sentire comune della gente quello della rassegnazione: dai polacchi la lustracja è considerato un falso problema, ci sono altre priorità: la disoccupazione, l’emigrazione, il divario economico e sociale tra campagna e città, l’elitarizzazione del sistema d’istruzione superiore. Alla gente, e soprattutto ai giovani, interessa avere risposte su questi temi. La lustracja e le periodiche proposte legislative anti-abortiste sono considerate fumo negli occhi, un modo per radicalizzare il dibattito politico e continuare a stare a galla.
Il governo Kaczynski non è forse lo specchio della Polonia che vive tutti i giorni e cerca di affrontare le sfide dell’integrazione europea, ma riflette invece quel 40% di polacchi che sono andati a votare alle politiche del 2005: un governo di minoranza ultranazionalista, xenofobo e illiberale che maneggia con disinvoltura le ingenti risorse che la Ue ha stanziato per la Polonia e fa uso di una legge maccartista per togliere di mezzo gli oppositori. A breve la Corte costituzionale polacca si esprimerà: se l’esito sarà una bocciatura della nuova lustracja i Kaczynski dovranno trarne le conclusioni. E forse per la Polonia si aprirà la fase del ritorno alla normalità.