“Ora basta con il Pd pigliatutto”. Dall’Udeur al Prc un fronte del no

Aspettano ottobre per porre formalmente la questione, aspettano che il Pd sia ufficialmente nato e che Veltroni ne sia diventato il leader per chiedere un chiarimento a Prodi. «Basta con il monocolore Pd». Perchè la nomina di Fabiani nel cda Rai decisa dal ministro dell’Economia è un rospo che gli alleati del maggior partito dell’Unione faticano a ingoiare. Stavolta non c’è distinzione tra l’Udeur e il Prc, e non è il nome del sostituto di Petroni a viale Mazzini il nodo della contesa, ma «il problema politico» che porta con sé, e che fa dire a Mastella quello che giorni fa Giordano gli aveva detto dal palco di Telese: «Il Pd fa la parte dell’asso pigliatutto. Sulla vicenda Rai, per esempio, è giusto che il centrosinistra abbia la maggioranza in Consiglio, ma non può avere anche il presidente e il direttore generale. Peraltro dello stesso partito. Questo è scorretto e anche arrogante».
Così, dietro le bordate del Polo contro Prodi che arrivano a colpire persino il Quirinale, si avverte un clima di tensione nella maggioranza per il modo in cui è avvenuta la scelta di Fabiani. E quella scelta sono in molti a motivarla come «la saldatura di un patto tra Prodi e Veltroni». Non se ne faceva mistero ieri in Transatlantico, il vice presidente della Camera, Leoni, braccio destro di Mussi nella Sinistra democratica, conosce il sindaco di Roma per esser stato uno dei dirigenti romani della Quercia a lui più vicini. Secondo Leoni, «siccome Fabiani è molto legato a Walter, e siccome il premier non è tipo che regali nulla, vuol dire che i due hanno finalmente stretto il patto. Prodi si è garantito l’allungamento della vita a Palazzo Chigi, e Veltroni si è garantito un piede in Rai. Oddio, un piede… In verità Walter già poteva contare su due consiglieri: Curzi, amico più suo che di Rifondazione, e Rognoni».
Insomma, non c’entra Fabiani ma quel che rappresenta, e cioè «il patto Prodi-Veltroni, un patto sulla durata del governo che comprende un accordo di potere, e che passa sulle teste di tutti noi», come accusa il capogruppo dei Verdi alla Camera, Bonelli; «Ma sia chiaro che faremo le barricate contro queste logiche di lottizzazione». Il Prc non può permettersi ora di aprire l’ennesimo fronte di scontro con il Pd, tuttavia fatica a mostrarsi indifferente, e infatti il capogruppo al Senato accenna ai problemi che «il metodo» può provocare, «perché se invece di approvare le leggi necessarie al rilancio della Rai, si procede così con le nomine, il governo finisce per apparire come una macchina lottizzatrice». Ed è ironico il modo in cui Russo Spena finge di smentire la tesi dei patto tra il premier e il sindaco di Roma: «Non capisco perché si parli di un’avanzata di Walter in Rai. A guardare i tg di Stato lui sta già dentro». Ma sul nodo politico non esita a denunciare «quel monocolore Pd che ha in Veltroni il futuro leader di partito e il premier ombra. Su questo bisognerà andare al chiarimento».
Forse sarà vero che dietro l’attacco dei partiti più piccoli del centrosinistra si cela «il loro desiderio di acchiappare un posto nel cda Rai», come sostengono i fan dell’«operazione Fabiani». Ma fino a un certo punto. Perché anche dentro i Dl e persino nei Ds c’è chi solleva sottovoce delle obiezioni. E se l’ala radicale denuncia di essere stata informata solo all’ultimo momento della nomina, forse non sa che Rutelli l’ha saputo appena ieri mattina, e che ancora sabato Padoa-Schioppa, dinnanzi alla domanda del collega delle Comunicazioni, Gentiloni, era stato evasivo: «Non so se puntare sul tecnico o su una personalità di alto profilo». Rutelli avrebbe preferito il tecnico…
Siccome in passato il vice premier e capo della Margherita era riuscito a impedire che Fabiani andasse alle Ferrovie, tanto basta per capire quali siano oggi i rapporti di forza nel futuro partito. «Ma la coalizione non può accettare l’ombra lunga del Pd, non può aspettare che sistemino le loro cose interne», s’infervora il mastelliano Fabris. Il punto è che la nomina di Fabiani ha avuto anche effetti «esterni», scatenando la reazione del Polo, e provocando un danno che solo il leader socialista Boselli ieri ha pubblicamente denunciato: «Si danno armi all’opposizione per fare una campagna non priva di argomenti, perché il governo con questa mossa smentisce se stesso. Non aveva detto che voleva dialogare sulla legge elettorale? E lo fa così? È sconcertante».
Boselli dice quel che esponenti autorevoli della Quercia si limitano a sussurrare, e cioè che la scelta è stata «un errore politico a fronte di una situazione fuori controllo», che se davvero si voleva avviare una trattativa con il centrodestra «bisognava dare un segnale distensivo anche sulla Rai»: un nuovo cda con un esponente di Forza Italia alla presidenza e la maggioranza del Consiglio all’Unione. La nomina di Fabiani invece, a prescindere dalla sua autorevolezza, creerà «seri problemi» anche a Veltroni. Ed è sintomatico che ieri sera il dalemiano Latorre osservasse sconsolato la rottura dell’esile filo di dialogo con il Polo, a seguito del caso Rai: «Bisogna fare attenzione a non introdurre eccessivi elementi di litigiosità per ragioni di potere, perché queste cose allontanano i cittadini dalla politica».
La mossa sulla Rai, per quanto osteggiata dal Cavaliere, viene vista anche nel centrosinistra come una «vittoria per Berlusconi», e non solo perché così viene spazzata via ogni ipotesi del dialogo, ma perché – come spiega un dirigente dell’Ulivo – «ora potrà accordarsi per mandare definitivamente in soffitta la riforma della Gasparri». Sarà un caso, ma ieri Follini commentava così l’esito della vicenda Rai: «Il problema del Polo non era salvare il consigliere Petroni, ma salvarsi dal ministro Gentiloni…».