Operazione Nato duratura

“Il segno più recente che il militare sta spostando il suo centro focale verso l’Asia è il piano, annunciato oggi dall’Esercito statunitense, di trasferire nell’Isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, armi da combattimento attualmente depositate in Italia e Germania”: questa notizia è comparsa su The New York Times non dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre, ma dieci giorni prima, il 31 agosto, accompagnata dalla dichiarazione del segretario alla difesa Rumsfeld che la regione dell’Asia e del Pacifico “sta acquistando un crescente significato militare per diversi motivi” (v. il manifesto del 4 settembre).
Lo spostamento in Asia del centro focale della strategia statunitense, che era già in atto, ha avuto una fortissima accelerazione sotto la spinta della reazione suscitata dagli attentati. Ma l’Operazione “Libertà duratura” non avrebbe potuto essere lanciata in tempi così rapidi e in modo così pianificato se non fosse stata già preparata: lo conferma il fatto che i piloti dei bombardieri stealth B-2 Spirit avevano già iniziato l’addestramento a voli di 50 ore che permettono, partendo dalla base in Missouri, di colpire obiettivi in Asia (v. il manifesto del 17 luglio). Quali sono, dietro la motivazione ufficiale della caccia a bin Laden, i reali fini dell’Operazione “Libertà duratura”? Si può comprendere dando uno sguardo alla carta geografica dell’Asia.

L’importanza dell’Asia nella strategia Usa.

L’area con al centro Afghanistan e Pakistan – nella quale gli Stati uniti stanno lanciando la loro azione militare, affiancati dal più fedele degli alleati, la Gran Bretagna – è di enorme importanza strategica. Essa confina (o è limitrofa), a nord, con Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Kazakistan – repubbliche che, dopo la digregazione dell’Urss, sono rimaste collegate alla Federazione russa nel quadro della Comunità di stati indipendenti. Non a caso l’Operazione “Libertà duratura” è iniziata con quella che The New York Times (20 sett.) ha definito “una mossa senza precedenti: il trasferimento di caccia e bombardieri nelle due ex repubbliche sovietiche Tagikistan e Uzbekistan”. In cambio del permesso di sorvolo dello spazio aereo russo, Mosca vuole da Washington “la promessa che qualsiasi presenza militare Usa nell’ex Asia centrale sovietica sarà temporanea” (Washington Post, 23 sett.). Sanno però bene a Mosca che gli Usa intendono restarvi senza limiti di tempo.
A est, quest’area confina con Cina e India, potenze emergenti che gli Usa temono e vogliono tenere sotto stretto controllo, soprattutto per impedire la formazione di una triade Russia-Cina-India, di cui è potenziale precursore il trattato di amicizia e cooperazione militare firmato a luglio da Mosca e Pechino. La strategia resta quella enunciata subito dopo la guerra del Golfo: “Dobbiamo operare per impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale. Queste regioni comprendono il territorio dell’ex Unione sovietica, l’Asia orientale e sud-occidentale” (Defense Planning Guidance for the Fiscal Years 1994-1999).
A sud, quest’area confina con l’Oceano Indiano, il cui controllo è di fondamentale importanza strategica per qualsiasi operazione militare in Asia: per questo, l’Operazione “Libertà duratura” è iniziata con il dispiegamento di altre forze aeree sull’Isola di Diego Garcia. A ovest, essa confina con il sempre più importante “corridoio petrolifero” che va dal Caspio al Golfo, dove si trovano le maggiori riserve mondiali di “oro nero”. Qui gli Usa intendono rafforzare la loro presenza militare ed influenza politica, per controllare non solo le fonti energetiche, ma i “corridoi” attraverso cui il petrolio e il gas naturale raggiungono i paesi consumatori.
L’Operazione “Libertà duratura” può avere un peso decisivo nella “guerra degli oleodotti”, che Washington ha iniziato a sostegno delle compagnie petrolifere Usa contro quelle europee, anche occidentali. L’apertura dell’oleodotto tra il porto azero di Baku sul Caspio e il porto georgiano di Supsa sul Mar Nero e il progetto di un altro da Baku al porto turco di Ceyhan sul Mediterraneo, stanno sottraendo alla Russia l’esportazione del petrolio del Caspio. Rafforzando il controllo militare dell’area, gli Usa potrebbero aprire altri “corridoi”: c’è già da anni il progetto di un oleodotto e gasdotto che, dal Caspio, raggiungerebbe l’Oceano Indiano attraversando l’Afghanistan e il Pakistan. Allo stesso tempo potrebbero affossare il progetto, già in fase avanzata, di un gasdotto destinato a portare in India il gas iraniano attraverso il Pakistan.
Questo è il fine che Washington persegue: ridisegnare con la forza militare – comprese le armi nucleari, che minaccia di usare – gli assetti di quest’area strategica, così come ha fatto nei Balcani, usando ancora una volta la Nato.

La Nato sempre più verso est.

Continua, con l’Operazione “Libertà duratura”, la mutazione genetica della Nato. Dopo aver esteso nel 1999 il suo raggio d’azione al di fuori della propria area geografica con la guerra contro la Jugoslavia – e aver allo stesso tempo ufficializzato il “nuovo concetto strategico” che autorizza i paesi membri a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza” – la Nato ha iniziato la sua espansione verso est. Dopo aver incluso Repubblica ceca, Ungheria e Polonia, si sta preparando a inglobare altri undici paesi, compresa l’Ucraina ai confini con la Russia. “Il nostro piano è di allargare la Nato”, dichiarava il presidente Bush il 16 giugno, sottolineando che “la questione del “quando” può essere ancora oggetto di dibattito nell’Alleanza; la questione del “se” non deve esserlo: l’espansione della Nato adempie l’impegno assunto dall’Alleanza e questo impegno ci porta ora a est e a sud, a nord e oltre”. E’ quanto stanno facendo gli Stati uniti con l’Operazione “Libertà duratura”. Sempre più verso oriente, fino all’Asia, con la motivazione di una “nuova minaccia da est”, ieri impersonificata da Milosevic, oggi da bin Laden, domani da un altro “nemico numero uno”.
Ancora una volta Washington ha avuto l’appoggio degli alleati europei, che si sono accodati alla “crociata” lanciata da Bush, facendo addirittura scattare, per la prima volta nella storia dell’Alleanza, l’articolo 5. I loro fini politici ed economici sono evidenti: partecipare alla spartizione di aree di influenza non solo nella regione europea ma ora anche in Asia, approfittando della disgregazione dell’Unione sovietica e della profonda crisi della Russia.
Ma in Asia, come nei Balcani, Washington intende usare la Nato per una guerra da cui gli Stati uniti escano rafforzati nei confronti anche degli alleati europei. Non a caso, nella prima fase dell’operazione, gli Usa non hanno voluto altri al loro fianco se non il fidato alleato britannico. Vogliono in tal modo prestabilire la strategia di attacco e il dispiegamento di forze così da avere, ancora una volta, l’indiscusso comando. Non solo: colpendo paesi come Iran, Siria e Libia, da cui proviene oltre la metà del petrolio usato in Italia, gli Usa potrebbero limitare l’accesso autonomo dell’Europa al petrolio mediorientale, a tutto vantaggio delle compagnie Usa e britanniche.

Uno “scudo” per la “crociata”.

Contemporaneamente, l’amministrazione Bush intende usare l’Operazione “Libertà duratura” per accelerare la realizzazione dello “scudo spaziale”, per il quale, dopo gli attentati dell’11 settembre, ha di fatto ottenuto l’appoggio bipartisan del Congresso. Con lo “scudo” gli Usa intendono accrescere la propria “capacità di dominare lo spazio”, non solo sul piano militare ma su quello complessivo, in primo luogo nei settori dell’economia e dell’informazione, accrescendo così la loro supremazia nei confronti degli stessi alleati.
Nessun problema, però, se l’Operazione “Libertà duratura” si estenderà allo spazio: nella “lotta del bene contro il male”, ha detto Bush, “sappiamo che Dio non è neutrale”. Cosa avrebbe d’altronde potuto fare Dio di fronte all’ultimatum di Bush “o con noi o contro di noi”?