Operaia e mamma? Ti licenzio

Licenziata perchè utilizzava la pausa mensa per andare a prendere la figlia da scuola. E’ la storia di Raffaella, donna, come altre probabilmente, colpevole di volere essere lavoratrice e mamma insieme.
Una storia di provincia, consumatasi nel profondo Nord della provincia di Crema. E’ lì, a Vaiano Cremasco, che ha sede la Ipc Faip, azienda che produce idropulitrici e che fa parte del gruppo Interpump (circa duemila dipendenti in Italia). Lì Raffaella lavorava da sei anni, «senza mai avere avuto problemi» precisa chi conosce la sua storia.
Poi invece i problemi sono arrivati, a inizio 2005. Una figlia ormai cresciuta che inizia a frequentare la scuola media a Crema e il problema del ritorno da scuola. Raffaella, che è separata e non può contare sui genitori, ormai pluriottantenni, inizia ad usare il tempo della pausa pranzo (un’ora e mezzo, dalle 12 alle 13,30) per andare a prendere la figlia da scuola. La scuola le viene incontro, permettendo l’uscita della figlia alle 13, dieci minuti prima dell’orario previsto. In mezz’ora di tempo Raffaella riesce a fare tutto, prende la figlia da scuola, la riaccompagna a casa, al paese che dista una ventina di minuti in macchina, e ritorna in fabbrica. Fino al gennaio di quest’anno.
Raffaella preferisce non parlare con i cronisti: teme che, legare il suo nome alla vicenda, in un piccolo paese di provincia, possa poi crearle ulteriori problemi. A gennaio la direzione aziendale con un accordo sindacale cambia l’orario della pausa mensa, riducendolo di mezz’ora. Per Raffaella non è possibile. A quell’ora non ci sono autobus con cui la figlia possa tornare da scuola. La soluzione è un accordo «capestro» con l’azienda, come lo definisce la Cub, in base al quale, da gennaio fino al 19 di giugno, data che segna la fine della scuola, le viene consentito di continuare a usufruire della mezz’ora, ma con permessi non retribuiti e solo in via straordinaria fino alla fine del periodo scolastico.
A settembre, naturalmente, il problema si ripresenta. L’azienda non ne vuole sapere. Nulla riesce a fare nemmeno il sindacato. Si tratta di mezz’ora, Raffaella lavora per lo più fuori dalla catena di montaggio, ma nulla da fare. Lei continua a usare i suoi permessi non retribuiti. Nel frattempo, a ottobre, il sindacato (i metalmeccanici della Cub) proclama uno sciopero: mezz’ora ogni giorno, all’inizio del turno pomeridiano. Il tentativo è quello di socializzare la situazione di Raffaella in un’azienda dove su 180 dipendenti, una sessantina circa sono donne. Ma la solidarietà sperata non arriva. Raffaella è l’unica a scioperare. E dopo sei contestazioni aziendali,il 9 novembre scorso, arriva il licenziamento. «Ritardo ingiustificato protratto» sarebbe la giusta causa.
Sarà il Tribunale di Crema, nell’udienza fissata per il 9 gennaio prossimo, a decidere la fine della storia. «Vorremmo arrivare ad una conciliazione – precisa Chiara Tomasetti, avvocato di Raffaella – L’obbiettivo è chiaramente quello della reintegra, ma vorremmo che venisse riconosciuta l’esigenza per una donna di potere essere anche mamma». Si tratterebbe cioè, secondo l’avvocato, di una discriminazione di genere, in barba alle normative europee e regionali sulle pari opportunità. Oltre al fatto che, in mancanza di un giudizio della Commissione di garanzia sugli scioperi, non dovrebbe essere un’azienda a poter decidere quando uno sciopero è illegittimo. «Soltanto dal punto di vista della recidiva potrebbe esserci una logica nel comportamento aziendale – commenta Angelo Pedrini della Cub – Ma qui siamo evidentemente in presenza di un problema sociale e anche le contestazioni disciplinari sembrano uno strumento del tutto fuori luogo».
L’azienda suggeriva di far cambiare scuola alla figlia. Le stesse sue colleghe di lavoro commentavano che forse Raffaella avrebbe dovuto fare qualche sacrificio in più, pagando per esempio una baby sitter. La scuola che la figlia di Raffaella frequenta non prevede il tempo pieno. Mezz’ora di tempo, ricordiamo, che lei era disposta a recuperare. E la flessibilità costantemente invocata dalle aziende? Ma forse anche questa è una storia nota. O mamma o lavoratrice.