Operai e immigrati: la morte invisibile

Le stragi nei cantieri e quelle delle carrette del mare: ma per i media lo scandalo dura un giorno
Sergio Zavoli: «Un silenzio incivile». Don Ciotti: «Ci stiamo abituando all’orrore»

Poche righe sui giornali, qualche passaggio veloce nei telegiornali. Quattro incidenti in pochi giorni all’Ilva di Taranto, di cui uno mortale, altri feriti e morti sul lavoro in Umbria e Toscana. E poi l’ennesima strage di immigrati morti affogati a pochi metri dalle
spiagge italiane dopo un viaggio di speranze e sofferenza lungo settimane. Scena già viste, lutti già raccontati. Troppe volte perché i mezzi di comunicazione si indignino ancora, troppe volte perché quei morti senza nome meritino più di qualche riga a fondo pagina. «Succede da sempre, sono sempre esistite le morti di serie A e le morti di serie B – spiega amareggiato lo scrittore Erri De Luca – Esattamente come esistono i cuori di serie A e quelli di B: le persone del primo tipo si addolorano per queste vicende, e ne soffrono, mentre quelle che appartengono alla seconda categoria riescono a non curarsi di questi eventi, come se nulla fosse accaduto». Certo, però più che l’atteggiamento dei singoli, a lasciare amareggiati sono le scelte degli organi di stampa, ogni giorno più sordi a queste tragedie. «I media non hanno cuore e sensibilità – conclude Erri De Luca – Nell’affrontare questi lutti c’è una trascuratezza incredibile. Quando va bene…. quando va male invece si può parlare di una vera e propria censura».
Un comportamento difficilmente comprensibile che, secondo il giornalista Sergio Zavoli, è anche frutto del fallimento di anni di politiche sociali. «Il silenzio su questi morti – ha spiegato – è il tentativo di nascondere che una società avanzata, come è in uso dire, arranca ancora dietro i suoi problemi non solo irrisolti, ma resi ancora più gravi e inaccettabili in un sistema che presume di aver messo la tecnologia e la politica al servizio dei più deboli, socialmente ed economicamente. Mi tornano alla mente – prosegue Zavoli – i servizi che dedicavamo, tanti anni fa, all’ambiente e alle condizioni di lavoro, dall’amianto alla precarietà dei ponteggi, dalle impalcature alle lavorazioni. Va ricostruito lo stato sociale, a partire dall’etica del lavoro. Per ora abbassiamo gli occhi e, purtroppo anche la voce: la civiltà di un paese – conclude – non può finire, se va bene, nelle “varie” e nelle “brevi”».
Una impressione condivisa anche da padre Giorgio Poletto, missionario comboniano che da anni lavora sulla costa domiziana, in Campania, per l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. «Ho la triste impressione che le persone si siano ritirate nel proprio piccolo mondo, in una pericolosa fuga dal sociale verso il privato – spiega padre Giorgio – la gente è stanca delle solite inquietanti notizie».
E che alla base di certi comportamenti ci sia ormai una macabra abitudine alle tragedie viste in tv lo pensa anche don Luigi Ciotti, il presidente nazionale di Libera. «La nostra società – dice – si sta assuefacendo alla morte e all’orrore. Un attimo, e poi è tutto di nuovo come prima, come se non fosse successo nulla. Per gli organi di stampa vale lo stesso discorso: in questi ultimi giorni abbiamo assistito inermi alle morti bianche, alla tragedia dell’immigrazione sulle spiagge di Gela, eppure questi fatti hanno faticato a trovare spazio fuori dalle cronache locali. Negli ultimi dieci anni – prosegue Don Ciotti – ci sono stati 2500 omicidi di mafia, tante vittime quante delle Torri Gemelle. Eppure non se parla più. Nell’ultima settimana in Umbria sono morti 4 giovani sui posti di lavoro: 4 vite stroncate che non hanno quasi meritato spazio sui giornali nazionali e sui Tg. L’informazione deve ricominciare deve ricominciare ad aiutare tutti a capire la realtà, ad interpretarla e comprenderla. È una questione di giustizia».