Opera al nero

Tra una settimana i rumeni entreranno, insieme ai bulgari, a far parte dell’Unione europea. Saranno cittadini quasi a tutti gli effetti, con quasi tutti i diritti degli altri e in particolare con quello di andare e venire, e di fermarsi; quasi. L’Europa, buona o cattiva che sia, è questa. Una splendida occasione per dare loro il benvenuto. I fascisti di Opera, i fascisti di Milano non se la sono lasciata scappare.
Con una spedizione squadristica, attivisti di Lega e Alleanza nazionale, ritrovando l’accordo della Bossi-Fini, hanno dato fuoco alle tende preparate per l’accoglienza di una sessantina di Rom, cacciati dall’insediamento precedente di Via Ripamonti, a Milano. Qui però, come riferisce Manuela Cartosio a pagina 7, calpestavano il suolo appartenente o connesso all’ing. Ligresti, uno dei potenti della città, con un’importante presenza azionaria nientemeno che nella Rizzoli e nel Corriere della sera. Scacciati i Rom da Milano, con il freddo crescente, occorreva sistemarli in qualche modo. Ma forse bisogna riflettere su Milano, la città del miracolo.
La generosità di Milano, la mia città, è proverbiale. C’è un campionario di canzoni che parlano di Milan cunt el coeur in man (Milano col cuore in mano). Ma ci sono le canzoni e poi ci sono i fatti. Per sessanta Rom non c’era posto, non poteva esserci posto. In una città abbandonata dall’industria, con ettari di spazio abbandonato, con decine di fabbriche trasformate in loft per i nuovi ricchi della moda, le porte si sono chiuse, da tutte le parti, di fronte a quella gente senza ricchezze e senza amici; e non si più aperte. Cosa ha Ligresti che io non ho?, si devono essere chiesti, in molti consigli di amministrazione, in molti salotti buoni, i potenti cittadini della Milano ricca e per bene. Il cardinale che un tempo era una potenza in città, guardava altrove. C’è una noiosa poesia di natale, la «Notte santa» di Guido Gozzano che sembra fatta per noi. Sotto la neve, la ben nota neve della Palestina, presente in tutti i presepi, Maria e Giuseppe cercano un albergo, un riparo, una tettoia, ma tutti dicono di non avere posto. Intanto il campanile scocca le ore: «Oste di Cesarea… Un vecchio falegname?/ Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?/ L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame/ non amo la miscela dell’alta e bassa gente./ Il campanile scocca/ le undici lentamente».
La seccatura dei rom passa alla provincia e di qui a Opera, un paese noto per essere sede del secondo carcere della provincia. Il sindaco, Alessandro Ramazzotti, dello stesso partito di Filippo Penati, il presidente ds della provincia, non è contento della bisogna, ma, è più generoso dell’oste di Cesarea cantato da Gozzano, e accetta di ospitare, per un tempo limitato, le famiglie rom nel campo delle giostre. Finito il freddo se ne andranno. Ben presto la protezione civile allestisce tende, adatte al rigore invernale, nel luogo destinato al luna park. Solo che i fascisti locali ammettono le giostre che piacciono tanto ai bambini, anche se i giostrai non sono di pura razza padana, mentre considerano gli «zingari» senza giostre, persone da calpestare e rigettare nel fango. Così bruciano le tende e ridono e gridano, finalmente felici. Non nel mio cortile, questi rifiuti subumani.
A Opera si sentono realizzati, finalmente. Sono riusciti a fare peggio di Milano. Intanto, scoccano le undici.