Onu: tra Caracas e Guatemala, vince Panama

Dopo quindici giorni di scrutini e l’ennesima notte in bianco, finalmente i 35 paesi che compongono il gruppo dei Caraibi e dell’America Latina hanno approvato all’unanimità la candidatura di Panama per l’ultimo posto disponibile nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Si trattava di sostituire l’Argentina come membro non permanente per il biennio 2007-2008, una carica che prevede il voto finale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sancire l’entrata nel gruppo dei dieci membri non permanenti, che vengono eletti ogni due anni a differenza dei cinque membri permanenti. Dopo estenuanti trattative finalmente venerdì scorso Venezuela e Guatemala hanno accettato di ritirare le proprie candidature, aprendo la strada al piccolo stato centroamericano che ieri mattina è stato ufficialmente eletto.

Che sarebbe stata una piccola guerra, l’avevano capito in molti, il che è un risultato inevitabile del crescente attivismo di un organismo che durante la guerra fredda era paralizzato dagli opposti schieramenti. Ma dall’89, si sa, molte cose sono cambiate all’interno del Palazzo di Vetro, non ultima l’effervescente stagione delle sanzioni e dell’autorizzazione dell’uso della forza in alcuni conflitti, cosa che ha finito con il proiettare il Consiglio di Sicurezza al centro del palcoscenico della politica internazionale. Ecco quindi che l’elezione di Panama risolve un impasse che ha visto contrapposti, manco a farlo apposta, il Venezuela di Chavez e gli Stati Uniti fermamente decisi ad impedire all’odiato presidente di prendere posto nel Consiglio di Sicurezza.

Washington ha condotto la campagna contro Caracas spingendo fortemente la candidatura del Guatemala, paese di cui tiene saldamente le redini, mentre il Venezuela poteva contare sull’appoggio di altri paesi amici – Cuba ma anche Bolivia e Brasile – e sulla rotazione, prevista dallo statuto per mantenere gli equilibri generali, che la dava per favorita. L’idea di Chavez era di utilizzare la propria candidatura per contrastare i tentativi di Bush di dominare l’Onu e ripresentare nuovamente se stesso come leader anti-americano sul palcoscenico mondiale. Alternando minacce e promesse di sostanziosi aiuti, Washington ha fatto di tutto per conquistare l’appoggio dei paesi latinoamericani per il proprio candidato – il Guatemala appunto – ma dal 16 ottobre, da quando cioè sono cominciati gli scrutini, nessuno dei due paesi è riuscito a ottenere la necessaria maggioranza di due terzi dei 192 membri dell’Onu, e si è resa necessaria la presenza di un candidato alternativo. Ecco quindi farsi avanti Panama, candidato più o meno super partes – anche se gli interessi statunitensi nella zona del canale sono ancora molto forti – la cui scelta è stata poi ratificata dai governi regionali.

Ma il braccio di ferro fra Stati Uniti e Venezuela non è l’unico conflitto che anima i corridoi del Palazzo di vetro. Dal 1993 c’è all’ordine del giorno una proposta di riforma – affidata a un apposito gruppo con mandato dell’Assemblea Generale – che avrebbe il compito di modificare una struttura che risale al 1946. Germania e Giappone criticano l’impianto progettato dalle potenze vincitrici e basato su di un ostracismo durato mezzo secolo – che Berlino e Tokyo considerano ormai anacronistico – mentre potenze emergenti come India e Brasile chiedono una riforma del Consiglio di sicurezza che rispecchi i cambiamenti degli ultimi cinquant’anni. Il progetto di allargamento viene sostenuto anche dall’Unione Africana, continente escluso a priori dalla possibilità di sedere fra i membri permanenti. Ma i lavori del gruppo appositamente deputato a studiare l’allargamento non hanno prodotto granché.

L’altro grande conflitto che anima il Consiglio di Sicurezza scaturisce dall’accusa, proveniente dai paesi arabi, di adottare una doppia morale rispetto al conflitto mediorientale. In particolare il Consiglio viene accusato di avere concesso a Israele ogni sorta di violazione delle proprie risoluzioni e di avere avuto invece mano pesantissima nei confronti di paesi come l’Iraq. Com’è noto Washington non ha mai esitato a utilizzare il potere di veto per proteggere il proprio alleato storico in Medio Oriente così come non si è fatta scrupolo di scatenare sul Consiglio ogni sorta di pressioni nel 2003, durante l’escalation che ha preceduto l’invasione dell’Iraq. Qualcuno ricorderà il pressing senza esclusione di colpi proibiti – come l’utilizzo delle microspie dentro e fuori dal Palazzo – sugli ispettori Onu che avevano mancato di confermare la teoria delle armi di distruzione di massa irachene, e gli show di Colin Powell che hanno animato i mesi precedenti all’attacco. Alla fine la Coalizione dei volenterosi, come venne chiamata, fu costretta a scatenare l’attacco senza l’autorizzazione del Consiglio bloccato dal veto di Russia e Francia. Come reazione Washington lanciò una campagna di delegittimazione dell’Onu culminata nella nomina ad ambasciatore del più guerrafondaio fra i falchi di Bush, John Bolton, che continua a condurre le sue feroci battaglie in quello che dovrebbe essere il principale strumento per la pace mondiale.