Onu: «Riaprite il caso Sankara»

Il caso Sankara sarà riaperto. Un pronunciamento in tal senso è arrivato dal Comitato Onu per i diritti umani. La notizia è dello scorso aprile ma era passata del tutto inosservata in Italia. A darle rilievo è stata Odile Sankara, sorella del defunto presidente del Burkina Faso, nel corso del convegno Donne d’Africa tenutosi la settimana scorsa a Milano. «Siamo fiduciosi – ha dichiarato Odile Sankara – le prove sono molte e ci sono buone possibilità di riuscire a ottenere finalmente giustizia». Sì, perché l’assassinio di Thomas Sankara non solo è rimasto impunito e senza alcuna indagine, ma era addirittura stato derubricato a «morte naturale», tramite un falso certificato di morte. Per questo nel 2003 la famiglia Sankara (in testa la vedova Mariam) e la Campagne internationale justice pour Sankara avevano fatto appello al Comitato Diritti Umani dell’Onu, che lo scorso 11 aprile si è pronunciato a favore della riapertura del caso.
«Il fatto che la morte di Thomas Sankara possa essere attribuita a cause diverse da quelle che hanno causato il suo assassinio – si legge nel comunicato n. 1159/2003 dell’11/04/2006 – mina la sua reputazione e degrada il senso della sua vita. Così, il Burkina Faso ha l’obbligo di aprire un’inchiesta e determinare le circostanze della sua morte», precisando che la mancata osservanza di questo obbligo costituisce un «attentato alla sua dignità».
Leader indiscusso del movimento di coscientizzazione e liberazione che attraversò l’Africa dopo l’indipendenza, Thomas Sankara è stato uno dei più illuminati e lungimiranti capi di stato che il continente abbia avuto. Presidente dal 1983 al 1987, rivoluzionò la politica burkinabè: si rifiutò di pagare il debito estero – che definiva immorale -, diede spazio alle donne, impose scelte di austerità ai suoi ministri, sostituendo le macchine blu con delle renault 5 e obbligandoli a voli aerei in seconda classe, perché – diceva – se il popolo muore di fame non si ha il diritto di sperperare. Invocò il disarmo per un mondo più giusto, senza guerre e disequilibri tra nord e sud. Fu il primo presidente africano a denunciare la piaga dell’aids e il rischio che comportava per l’intero continente africano, nel lontano 1984, quando anche in Europa l’argomento era ancora tabù. Fece costruire scuole e centri sanitari; promosse la cultura e le produzioni locali, sfidando Banca Mondiale, Fondo Monetario e multinazionali.
Scelte scomode, che gli costarono la vita. Thomas Sankara fu assassinato il 15 ottobre 1987, insieme ad altri dodici uomini; i cadaveri gettati in una fossa comune. Quel colpo di stato portò al potere l’uomo che è tutt’ora presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, rieletto per il terzo mandato consecutivo lo scorso novembre, grazie alle opportune modifiche alla Costituzione. Amico e compagno di Sankara negli anni della rivoluzione pacifica e poi suo esecutore, Compaoré rischierebbe dunque ora l’incriminazione?
Il Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite considera che il «rifiuto del Burkina Faso» di aprire un’inchiesta sulla morte del presidente Sankara e il mancato riconoscimento ufficiale del luogo della sua sepoltura, così come la mancata rettifica dell’atto di decesso che parla di morte naturale, costituiscono un «trattamento inumano contrario alla Carta internazionale dei diritti dell’uomo e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo», che il Burkina ha sottoscritto. Un pronunciamento chiaro, che lascia spazio alle speranze espresse da Odile Sankara a Milano. Durante il convegno, alla viceministra agli Esteri Patrizia Sentinelli – presente in sala – è anche stata espressa la richiesta che il governo italiano appoggi la mozione Onu.
Forse dunque, a quasi vent’anni dall’assassinio, si apre per Thomas Sankara la possibilità di una tardiva e doverosa giustizia. Ma non sarà un percorso semplice, come spiega Carlo Batà, autore del libro «L’Africa di Thomas Sankara, Le idee non si possono uccidere», Edizioni Achab 2003: «Thomas Sankara è stato tolto di mezzo perché era diventato un esempio anche per gli altri paesi africani, mentre i suoi omologhi vivevano nel lusso. Non dimentichiamo che Sankara negli anni ’80 si scagliò contro le multinazionali, ma anche contro le ingerenze del Sudafrica, della Francia, di Washington e di Israele, in sintesi di tutti quelli che in Africa avevano e hanno interessi. La moglie e i figli hanno dovuto lasciare il paese e rifugiarsi in Francia e solo da poco si sono spostati in Mali, mentre Blaise Compaoré rimane saldo al potere con il beneplacito della Francia e controlla tutto nel paese, tv e giornali. Anche a distanza di anni ci sono state delle morti legate a Sankara, come l’omicidio nel 1998 del giornalista burkinabè Norbert Zongo, che indagava sul caso».
Tutti segnali inquietanti che non renderanno facile il necessario seppur tardivo accertamento della verità sulla morte di uno dei leader africani più interessanti, uno di quelli che aveva fatto sperare nel «rinascimento africano».