Omicidio Calipari, esiste un mandante

Nessun americano ha mai pagato per questo e per altri identici delitti nei teatri di guerra e non solo.
Per questo è necessario che tutta la politica italiana fornisca pieno sostegno alla magistratura, che con coraggio ha aperto il processo contro i militi Usa autori materiali dell’uccisione dell’agente del Sismi Nicola Calipari e del ferimento di Giuliana Sgrena appena liberata il 4 marzo 2005, date le enormi difficoltà frapposte dalle autorità di Washington alla ricerca della verità giudiziaria. L’accusa formulata dalla Procura nei confronti del fuciliere della guardia nazionale Mario Lozano è omicidio volontario e reato oggettivamente politico. Ma sarebbe sbagliato focalizzare l’attenzione solo sullo sparatore, che diverrebbe un semplice capro espiatorio. Non va dimenticato, infatti, il contesto politico che portò alla collocazione di un posto di blocco volante funzionale alla realizzazione dei tragici eventi. Da quasi un anno i servizi italiani erano impegnati in una frenetica attività in Iraq per la liberazione degli ostaggi, sulla base di un orientamento politico bipartisan, il cui fulcro è sempre stato la trattativa con i rapitori e il rifiuto di mettere a repentaglio vite umane attraverso azioni di forza militari. Tutti i casi sono stati risolti con successo, ivi compresi quelli riguardanti cittadini di altri paesi, se si escludono Quattrocchi e Baldoni immediatamente uccisi subito dopo il sequestro.
Questo comportamento dell’Italia ha costituito una violazione delle regole decise dall’Autorità antiterrorismo sotto diretto comando politico dell’ambasciatore Usa a Baghdad John Dimitri Negroponte. Gli attacchi nei confronti dei negoziatori, esplicitamente accusati dal Pentagono di “foraggiare i terroristi”, erano sempre più palpabili, in particolare dopo la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta e durante le trattative per salvare la vita a due giornalisti francesi, portata a termine con successo dalla squadra di Nicola Calipari, dopo che per ben quattro volte i militari americani avevano contrastato la via negoziale con tentativi di blitz.
I due agenti del Sismi sbarcati a Baghdad dopo aver concluso la trattativa per la liberazione di Giuliana Sgrena sono stati monitorati passo dopo passo, come Nicola sapeva bene e come avevo saputo anch’io andando in precedenza insieme a lui e a membri del Copaco al comando Cia a Langley, dove quel sistema di controllo ci era stato descritto.
Quel blocco improvviso del traffico istituito per il passaggio dell’auto dello stesso Negroponte, durato oltre due ore quando al massimo avrebbe dovuto protrarsi per 10-15 minuti (coincidente guarda caso con il ritardo rispetto ai tempi preventivati dai due agenti per il loro ritorno all’aeroporto), rende le ipotesi di agguato assai più forti di un semplice sospetto. Tanto più che la brutalità dell’intervento ha messo fine da quel momento a ogni trattativa per gli ostaggi in Iraq da parte del governo italiano. E come altri nostri apparati di sicurezza chiedevano, in ossequio alle direttive di Washington, sarebbe bene non dimenticarsene.