Oltre la fabbrica

Se è vero, come confermano le prime indagini sul voto operaio al Nord, che Cipputi è più attratto dalla destra che dalla sinistra (secondo uno studio dell’Ires-Cgil con la Swg, il distacco tra i due schieramenti è tra l’8 e il 9%), perché meravigliarsi dei racconti che ci fanno i lavoratori della Cgil nel Bresciano? Roberto Perotta è delegato Fiom alla Redaelli Tecna in Val Trompia: «Facciamo funi d’acciaio per i ponti, 150 dipendenti qui, un altro centinaio a Napoli. Da noi gli iscritti Fiom sono 100, la Fim ne ha 10. Avere l’egemonia in fabbrica non vuol dire che la maggioranza dei lavoratori o dei nostri iscritti voti a sinistra. E’ vero il contrario, e non da oggi. Sai che un nostro delegato è assessore leghista a Bovene? C’è combattività in fabbrica, partecipano agli scioperi, ma quando ti metti a discutere di pace o immigrazione si alza un muro. “Saddam si meritava di essere batezà”, senti dire. Oppure “gli immigrati? Aiutiamoli a casa loro”». E dire che in Val Trompia metà dell’attività industriali si fermerebbe senza il loro lavoro. Il responsabile della Fiom in valle, Claudio Bosio, ci mostra un giornale di categoria: sono 100 gli immigrati inseriti regolarmente nel mondo del lavoro in val Trompia, fanno i lavori più pesanti che i ragazzi di qui neanche prendono in considerazione.

Solidarietà o competitività?
La val Trompia non è povera e i lavoratori non sono alla fame, in famiglia spesso entrano 2 o 3 stipendi, la casa è di proprietà. Anche qui della sinistra non si vede neanche l’ombra, «solo la Fiom e lo Spi (sindacato pensionati Cgil, ndr) parlano alla gente. Solo la Cgil sta lavorando per la vittoria del No al referendum sulla devolution», dice Bosio. Di conseguenza, «un valore come la solidarietà si fa sempre più leggero mentre prevale la spinta egoistica«, aggiunge sconsolato il delegato della Redaelli. Allora ha ragione chi, a sinistra e persino nella Cgil, sostiene che essendo gli operai una razza in via d’estinzione è inutile perderci tempo dietro, bisogna cambiare riferimenti sociali, puntare al centro, ridurre il peso della solidarietà e cominciare finalmente a parlare di competitività. Tanto più che in aree geografiche come queste gli operai hanno più paura del cinese che della precarietà. Non ci sta Perotta: «Sarebbe un tragico perseverare nell’errore. Poi, cos’è il centro, i padroncini lombardi? La sinistra dovrebbe guardare in faccia la realtà. Qui in valle, solo a Gardone c’è un’amministrazione di centrosinistra. Nei paesi, tra Ds e Rifondazione non si va oltre la testimonianza, il 10-15% dell’elettorato».

Fucili e rivoltelle
La Beretta scoppia di salute. 1000 dipendenti in valle, 2717 nella holding che produce anche a Pesaro, negli Usa, in Finlandia, Turchia, Cina, a Trento. 400 milioni di fatturato, in crescita. Fucili e rivoltelle, prodotti militari, per la difesa personale e settore sportivo (da queste parti c’è un cacciatore dietro ogni siepe). Nel settore armi in valle lavorano tra le 5 e le 7 mila persone. Alla Beretta Piergiacomo Rizzini è delegato Fiom: «Da anni ci interroghiamo sul voto operaio, su come si tengano insieme lotte sindacali e voto alla Lega o a Forza Italia. Abbiamo fatto tra le 120 e le 150 ore di sciopero per il precontratto Fiom, non parliamo delle battaglie per difendere l’articolo 18, contro la precarietà e la legge 30. Abbiamo rovesciato la fabbrica. Pensavo che ci sarebbe stato un riscontro nell’urna. Invece in fabbrica non s’è spostato nulla e chi votava a destra ha continuato a farlo. Ammesso e non concesso che non siano addirittura cresciuti i consensi alla destra. Questa è una valle stretta, le idee nuove faticano a entrare ma una volta entrate, per scalzarle devi sputare sangue. Una volta alla Beretta lavoravano operai di Gardone, gente inurbata. Da tempo arrivano soprattutto dall’alta valle, persone che hanno già un’attività agricola o allevano animali e in fabbrica cercano solo mutua e protezione sociale. I nostri operai lottano contro la precarietà, per il contratto, ma hanno memoria lunga. Della sinistra che nel territorio non esiste ci ricordano: “Chi ha cominciato a tagliare le pensioni? Chi ha firmato le leggi prime che precarizzano il lavoro? E adesso che governano i vostri amici, continuerete a battervi come facevate contro Berlusconi?”». Forse, aggiunge un altro operaio, la lotta sull’articolo 18 avrebbe pagato anche politicamente se il giorno prima del referendum Cofferati non si fosse schierato come s’è schierato».
Tullio Aramini è delegato Fiom alla Metrocast, una multinazionale Usa che fa microfusioni e meccanica varia, 45 dipendenti: «Non è vero che lotte sindacali e voto a destra si tengono ancora, non è vero che in fabbrica si tiene e in politica no. Da alcuni anni la musica è cambiata anche in fabbrica: ieri bastava schioccare le dita per fermare il lavoro, adesso è più difficile convincere gli operai a scioperare. Finché si tratta di vertenze interne tutto bene, ma quando le motivazioni sono di carattere nazionale, magari per il contratto, devi sudare per farti seguire. Al voto palese sulla bozza di contratto eravamo tutti d’accordo, 2 i contrari. Quando abbiamo fatto il referendum i contrari sono diventati 12. Chi sono te l’immagini, ma non te lo dicono apertamente. Magari trovi qualcuno chi ti spiega perché non vota o non vota più per la sinistra: “Con le tasse mettono a repentaglio la mia sicurezza economica e vogliono aprire le porte agli immigrati”.
E pensare che, senza i pachistani e i senegalesi in fonderia, tante fabbriche chiuderebbero». Come ci fa notare il sindacalista Bosio, i comportamenti mutano passando dalla grande alla piccola fabbrica perché cambia la cultura operaia, anche in rapporto alla trasmissione di valori e memoria che ancora resistono nelle aziende di grandi dimensioni. Valerio Zanetti lavora alla Trv Italia, altra multinazionale Usa: «Da noi non si muove foglia senza la Fiom. 86 ore di sciopero per il precontratto, adesione totale. Ma adesso mi sento messo sotto esame dai lavoratori che chiedono coerenza e autonomia. Se non arriveranno segnali netti sulla politica economica e sociale, se non cambierà la musica, se non smetteranno di chiedere sacrifici ai lavoratori dipendenti, in fabbrica ci faranno il culo. Te lo do io il governo amico: la Cgil non deve ripetere gli errori del passato, quando la Fiom scioperava contro Treu ma la confederazione no. Invece già si firmano impegni che prevedono deroghe al contratto nazionale, oppure si impongono accordi senza farli votare dai lavoratori. Se continuano così, poi non ci si venga a chiedere perché i nostri votano a destra, o perché il populismo e l’egoismo spazzano via la cultura della solidarietà. Se facciamo come gli altri vincono gli altri: le sparate di Berlusconi sull’Ici ci hanno fatto quasi perdere le elezioni».
Questa valle, ci ricordano i delegati, è sempre stata bianca, un po’ meno dove si concentrava il lavoro operaio. Ma un conto era votare la Dc di Martinazzoli che «ha scolarizzato il territorio e ha costruito più case popolari che in Emilia e un conto è abbracciare il liberismo». C’era la Dc, dice Rizzini, ma c’era anche un Pci radicato. Ora suoi eredi «se va bene si radicano nelle amministrazioni. Qui da noi, alla Camera i giovani hanno fatto aumentare voti alla Lega». Dalle indagini sul territorio emergono dati preoccupanti: in crescita droghe, alcolismo, suicidi: i danè non bastano a combattere il disagio sociale, anzi nel vuoto di valori lo producono. Tullio è sconfortato: «Il telefonino comanda, il resto non conta. Pesa la paura di perdere lo status, se voti a sinistra perdi il treno, non ti puoi più aggiustare. Nel mio paese duemila giovani sniffano, molti girano con grosse macchine e corrono dietro a Berlusconi».

Al lavoro e alle urne
Insomma, le lotte non spostano i voti a sinistra «se la sinistra non c’è, o sta dall’altra parte», è la riflessione di Roberto Perotta. I giovani non sono tutti «persi», però. Con Genova e il pacifismo qualcosa si è mosso anche intorno alle fabbriche di armi, i figli mettevano in mezzo i padri di che costruiscono armi. Era un discorso difficile, questo, «ai tempi d’oro», quando almeno si discuteva in fabbrica di riconversione produttiva. E la Valsella ha smesso di costruire mine antiuomo. Oggi è meglio lasciar perdere, se non vuoi sentirti dire che in fondo la produzione militare è ben minore di quella civile. Quella civile sarebbe costituita da armi da difesa personale e da caccia. Torna l’importanza della scuola, dell’istruzione, della cultura, armi per combattere «la canea montante che vede nel marocchino lo spacciatore, nel senegalese il negro», nel rumeno il ladro. Il nostro amico della Beretta che ha una figlia adottiva di colore, insiste sul ruolo della tv. «Ho sentito un commento che mi ha paralizzato: “A Erica non dovevano dare il permesso di uscita perché ha ucciso un consanguineo”. Proprio così, un consanguineo». L’ex popolo di sinistra è permeabile dal razzismo. E non da oggi. Negli anni Sessanta anche nel Pci c’era «chi ce l’aveva con i terun mandati a sfondare i picchetti operai». Ma una volta, quando c’era la politica, quando c’era la sinistra, quei fenomeni venivano tenuti sotto controllo. La Fiom si sente sola: «In fabbrica i rapporti migliori con gli immigrati ce l’anno quelli che votano Lega. Quando varcano i cancelli e si tolgono la tuta sono gli stessi che ululano “negher, fora dai cojoni”».

(3/ fine. Le altre puntate dell’inchiesta sono uscite il 13 e il 15 giugno)