Un italiano su quattro dichiara redditi da fame e giura al Fisco che a fine anno non riesce a mettere insieme più di 6 mila euro. Considerato che a pagare le tasse, in Italia, sono poco più di 40 milioni e mezzo di contribuenti, per 10 milioni e 200 mila di loro, dunque, la miseria è di casa. La maggior parte degli altri vive meglio, ma si concede ben poco: il 36,3 per cento (14,7 milioni di persone) guadagna fra i 12.500 e 25 mila euro l´anno. Il reddito medio imponibile si ferma a 16.210 euro (l´Irpef media versata a 4.200).
A guardare i dati sulle dichiarazioni dei redditi del 2004 forniti dal Dipartimento delle politiche fiscali del ministero dell´Economia siamo un paese di poveri. Un paese con ampie diseguaglianze sociali, visto che ad ammettere una vita di agiatezze (200 mila euro dichiarati) sono solo 55.733 persone, lo 0,14 per cento appena sul totale. E anche riducendo di molto la soglia della ricchezza – prendendo in considerazione come tale i 100 mila euro – il risultato non cambia molto: si sale a 271 mila, lo 0,67 per cento dei contribuenti.
Lo scarto fra i due estremi è enorme e un po´ sospetto, tanto più che – prendendo in considerazione solo le dichiarazioni dei redditi degli autonomi – fra liberi professionisti, commercianti, artigiani e partite Iva uno su quattro dichiara un reddito annuo inferiore ai 6.000 euro. Cinquecento euro al mese, meno di una pensione sociale.
Impossibile, dunque, non parlare d´evasione. Vincenzo Visco, viceministro all´Economia ricorda che «in questi dati rientrano probabilmente lavoratori parasubordinati e microattività economiche che fanno numero, ma non reddito». Però precisa anche che «la distribuzione delle dichiarazioni dei redditi sottostima la quota dei ricchi: nei redditi alti figurano solo i lavoratori dipendenti e non appaiono i redditi da fabbricati». Dunque, conclude «l´evasione è un problema di questo paese, un numero consistente di contribuenti non paga le tasse». E se i dati delle dichiarazioni dei redditi vengono letti da una parte della maggioranza come la dimostrazione che la Finanziaria va ammorbidita («viste le cifre sulla povertà non si può fare una manovra da lacrime e sangue» ha detto Marco Rizzo dei Comunisti italiani), sull´aspetto fiscale della vicenda concorda con Visco anche il sottosegretario all´economia Paolo Cento. «Il quadro – fa notare – è contradditorio: da una lato c´è una preoccupante evasione e dall´altro un paese che sta scivolando verso la povertà». Stessa analisi la fa il ministro del Lavoro, Cesare Damiano. «Ci sono diseguaglianze crescenti che rendono urgente l´intervento del governo – commenta – non vorremmo riprodurre curve di ricchezza di stampo sudamericano. Va recuperata la trasparenza fiscale», anche – precisa – attraverso «la revisione degli studi di settore». Un obiettivo di governo c´è già: nei prossimi cinque anni – secondo Grandi, sottosegretario all´Economia – bisogna far affiorare 40-50 miliardi di imposte. Da dove? I sindacati, senza troppi giri di parole, puntano il dito sugli autonomi: «Bisogna fare chiarezza, anche per distinguere le situazioni di evasione dalle altre – chiede Carla Cantone, segretaria confederale della Cgil – non credo che tutto il mondo degli autonomi sia effettivamente sotto la soglia di povertà». «Emerge il ritratto di un paese d´imborglioni», sottolinea la collega Marigia Malucci.
I diretti interessati protestano, e fanno notare come del mondo degli autonomi, facciano parte anche le precarie e mal pagate partite Iva, o la miriade di microaziende che nel 50 per cento dei casi non riesce a superare i 5 anni di vita. «Non bisogna vedere fantasmi che non ci sono per far pagare di più le imprese» – commenta Marco Venturi della Confesercenti. Secondo uno studio degli artigiani della Cgia di Mestre, in Italia c´è un imponibile evaso di 311 miliardi di euro, pari al 25 per cento del Pil e in termini d´imposte la ricchezza sottratta alle casse dello Stato è di 130 miliardi. Ma di questa enorme quota solo una piccola parte sarebbe imputabile al lavoro autonomo: l´imponibile evaso per mancata emissione di fatture e ricevute si fermerebbe ai 4 miliardi di euro. Duecento miliardi sarebbero a carico dell´economia sommersa, 100 a quella criminale, 7 alle grandi imprese.