Dopo la breve pausa ferragostana, la falce degli infortuni sul lavoro torna a mietere vittime. Con particolare accanimento in Puglia dove ieri, all’Oleificio Italiano di Monopoli, due operai sono morti in una cisterna che stavano pulendo. Intossicati probabilmente dalle esalazioni dei residui depositati sul fondo. Sempre ieri, un agricoltore calabrese di 70 anni, Vittorio Triestino, è morto a causa del ribaltamento del trattore. Giovedì all’Ilva di Taranto un operaio è rimasto schiacciato tra un tubo e un macchinario: è in gravi condizioni per lo sfondamento del torace e varie lesioni interne. All’Ilva, una settimana fa, due operai erano stati licenziati per «eccesso di infortuni».
Beniamino Argentina, 55 anni, e Giuseppe Parisi, 33 anni, erano dipendenti della ditta Taurisano di Francavilla Fontana. Nell’oleificio, chiuso per ferie, la ditta stava togliendo da fosse e cisterne i residui della passata spremitura e l’acqua piovana. La temperatura molto calda potrebbe aver rinforzato le esalazioni e il loro effetto tossico. Noi non c’entriamo nulla, mette le mani avanti la proprietà dell’oleificio, la produzione era ferma e i due morti erano dipendenti di una ditta esterna. Il che è vero, ma piacerebbe conoscere il prezzo spuntato dalla ditta Taurisano per svolgere i lavori di manutenzione. L’oleificio di Monopoli, con un centinaio di addetti, è il più grande in provincia di Bari. E’ un’azienda «integrata». Oltre a produrre olio, recupera energia dalle biomasse e smaltisce rifiuti.
Con due morti per non meglio precisate «esalazioni» la parola rifiuti, ovviamente, fa rizzare le antenne. Ma è noto che i residui della produzione dell’olio possono sviluppare gas tossici. E la cisterna dove i due operai sono morti, stando ai primi accertamenti, era usata proprio per il ciclo dell’olio.
Manutenzioni affidate a ditte esterne, catena dei subappalti nell’edilizia, lavoro nero (qualche volta schiavistico) in agricoltura. Sono le tre cause degli infortuni in Puglia, secondo Mimmo Pantaleo, segretario regionale della Cgil. Poi c’è il caso «tutto particolare» dell’Ilva di Taranto dove l’aumento dei ritmi e il taglio dei costi si somma «all’atteggiamento provocatorio e di sfida tipico del Gruppo Riva». Pantaleo apprezza i ripetuti interventi di Napolitano e Bertinotti contro l’insicurezza, plaude alla campagna dell’Osservatore romano sulle morti bianche, coglie l’intezione positiva del governo di porre argini alla strage. «Tutte cose importanti, ma non sufficienti». Per una «svolta radicale» occorre una drastica riduzione del lavoro precario, irregolare e nero.
E’ quel che si impegna a fare, negli appalti di sua competenza, la Regione Puglia. «Basta con i bollettini di guerra», dice Onofrio Introna, assessore alle opere pubbliche, «da parte nostra rafforzeremo anche con nuove leggi le prescrizioni sugli oneri e le misure di sicurezza».
All’inizio di settembre il presidente regionale Nichi Vendola parteciperà a un’assemblea davanti all’Ilva di Taranto. «Alle primarie e alle elezioni gli abbiamo dato una forte mano, adesso deve restituircela», dice senza peli sulla lingua Massimo Battista, dell’esecutivo Fiom all’Ilva. Il sindalista si dice certo che l’infortunio di giovedì è stato causato dalla «solita pressione» a fare il massimo della produzione. Pur di non perdere tempo, sono state «bypassate» le prescrizioni di sicurezza imposte su un macchinario che negli anni scorsi aveva provocato un infortunio mortale e un altro costato una gamba a un operaio. Si tratta della macchina usata per «cianfrinare» (smussare) i tubi. Giovedì sera, subito dopo l’infortunio, al reparto Tub2 è partito uno sciopero di 36 ore. «Praticamente spontaneo», dice il sindacalista, «la gente ormai è esasperata da soprusi e infortuni, uno sa come entra ma non sa in che condizioni esce».
I tre infortuni pugliesi hanno «costretto» ancora una volta il ministro del lavoro Cesare Damiano a elencare le contromisure del governo. La novità più sostanziosa è la revisione della normativa sugli appalti «per inserire nelle clausole del maggior ribasso criteri che facciano riferimento agli standard di sicurezza, alla qualità del lavoro e alle retribuzioni fissate dai contratti nazionali».
«Ci aspettiamo che il governo operi affinché la competitività delle imprese non sia più pagata dalla pelle dei lavoratori», dice Paola Agnello Modica, responsabile salute e sicurezza Cgil. Anche lei deve ri-citare l’Oms: «Gli infortuni gravi e mortali sono statisticamente e tecnicamente prevedibili e, quindi, prevenibili».