Per il presidente degli Stati uniti il responsabile dell’attuale crisi israelo-libanese è Hezbollah e dunque il Partito di Dio va sconfitto. Per questo motivo è necessario dare carta bianca ai comandi militari israeliani. L’Amministrazione repubblicana, che con il secondo mandato di Bush junior molti analisti politici avevano previsto avrebbe compiuto una svolta, dall’unilateralismo alla ricerca del consenso internazionale, torna a parlare il linguaggio della forza bruta e dell’appoggio incondizionato alle politiche di guerra d’Israele. Dal suo ranch texano di Crawford, George W. Bush ha dedicato ieri il suo tradizionale discorso radiofonico del sabato alla difesa del suo alleato strategico in Medio Oriente, a poche ore dall’arrivo nell’area del segretario di stato Condoleezza Rice. L’inquilino della Casa bianca ha annunciato che il suo ministro degli esteri «sosterrà chiaramente che per risolvere la crisi è necessario affrontare i gruppi terroristici che lanciano gli attacchi e le nazioni che li appoggiano». Dunque ancora non è il momento di provare a far tacere le armi: nessun cessate il fuoco, fino a quando Israele riterrà opportuno portare avanti la sua campagna militare. Particolarmente minacciosi i riferimenti a Siria ed Iran. Bush ha definito il regime di Bashar el Assad «sponsor principale di Hezbollah» e ha accusato Damasco di aver fornito carichi di armamenti di fabbricazione iraniana ai seguaci dello sceicco Hassan Nasrallah. «Il regime iraniano – ha proseguito Bush – ha sfidato più volte la comunità internazionale con le sue ambizioni all’arma atomica e aiutando i gruppi terroristici». «Le loro azioni rappresentano una minaccia per l’intero Medio Oriente».
Al di là della retorica ufficiale, l’offensiva militare israeliana in Libano sta mettendo a repentaglio i progetti che gli statunitensi avevano fatto per il Paese dei cedri. A Beirut gli Usa volevano un governo che dopo il ritiro dei militari siriani dal paese si rafforzasse sempre di più, mentre ora stanno assistendo all’indebolimento del governo Siniora a causa delle operazioni belliche.
E la persona di cui Bush si fida di più per la politica estera, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, si riunirà con il presidente, prima di partire, oggi, per il Medio Oriente. Secondo il quotidiano statunitense New York Times, la Rice farà il punto della crisi mediorientale alla Casa Bianca con Bush e due inviati di un altro alleato strategico, l’Arabia Saudita, il ministro degli esteri Saud al-Faisal e il principe Bandar bin Sultan, segretario generale del National Security Council. Nel piano originale, la Rice avrebbe dovuto raggiungere, come prima tappa, Il Cairo per un incontro con i leader del paesi arabi. Ma nella conferenza stampa di venerdì il segretario di Stato non ha accennato ad alcuna sosta in Egitto. L’incontro con i leader arabi avverrà quindi a Roma nella conferenza internazionale organizzata per mercoledì prossimo, 26 luglio, alla Farnesina.
Secondo Martin S. Indyk, ex ambasciatore americano in Israele, tenere un incontro in una capitale araba prima di aver raggiunto una soluzione diplomatica alla crisi «avrebbe identificato gli arabi come il partner principale degli Usa proprio quando Hezbollah li sta accusando di coprire il proseguimento dell’operazione militare israeliana».
La Rice l’altro ieri aveva respinto seccamente le pressioni da parte di chi (Francia in testa) chiedeva timidamente o in maniera più esplicita un immediato cessate il fuoco tra lo Stato ebraico ed Hezbollah. Per il capo della diplomazia statunitense si sarebbe trattato di «un falso problema», perché con uno stop dei combattimenti non verrebbero risolte le cause del conflitto. «Un immediato cessate il fuoco senza condizioni politiche non ha senso», ha gelato i giornalisti al Dipartimento di Stato.