L’ Onu: 676 mila domande nel 2004. Ma il numero dei rifugiati cala e aumentano i rimpatri
« Gli uomini della gendarmeria vennero a casa mia l’ 1 luglio del 2003. Voi Dioula, dissero, siete tutti ribelli, vi faremo fuori » . In generale, basta poco per stravolgere un’ esistenza. Ma ci sono Paesi dove servono solo pochi minuti e non c’ è bisogno di far nulla. Si viene travolti dall’ odio di una guerra intestina, alla quale magari non si è preso parte. Si scopre di avere espresso un’ opinione « sbagliata » . O semplicemente di appartenere al gruppo etnico o religioso sbagliato. La vita di Mohammed, 35 anni, nato in Costa d’ Avorio, è cambiata quel giorno di due anni fa. Poi sono arrivati i pestaggi, la galera, le torture. È fuggito e vive in Italia: è un rifugiato. Oggi nel mondo ci sono altri 9 milioni e 200 mila casi come il suo. Ed è una cifra incoraggiante: la più bassa da circa 25 anni, con una tendenza positiva – nel senso che il numero cala – che dura da quattro anni. Se nel 2004 le richieste d’ asilo sono state 676 mila ( più di una al minuto, ma un quinto meno dell’ anno precedente), i rifugiati sono 356 mila meno del 2003. E aumentano i rimpatri. L’ anno scorso 1 milione e mezzo di persone sono tornate nei Paesi dai quali erano fuggite. LA CELEBRAZIONE – I numeri sono scritti nel rapporto presentato dall’ Alto commissariato Onu per i rifugiati ( Unhcr), perché oggi si celebra la giornata mondiale dei rifugiati. Tema: il coraggio di queste persone. Nell’ immaginario collettivo chi scappa a bordo di un barcone, o attraversa le frontiere senza soldi né documenti, è un clandestino. Ma fra chi abbandona fame e povertà, in cerca di lavoro, ci sono anche persone che non avrebbero voluto emigrare e sono state costrette a lasciare il proprio Paese per sfuggire alla persecuzione. Uomini e donne disposti a chiedere asilo. Scelta lacerante, che preclude la possibilità di tornare dove si è nati a meno di non rinunciare allo status di rifugiato e alla protezione che garantisce. I RIMPATRI – Aprile 2002, Repubblica democratica del Congo: Isabelle è allo sportello bancario, sta lavorando. Vende dollari a un cliente e quell’ operazione è l’ ultimo avvenimento normale della sua vita « precedente » . La accusano di aver cambiato denaro ai ribelli ruandesi: finisce in cella, subisce sevizie e stupri, fugge corrompendo una guardia e lasciando un marito e tre figli. Ora è a Torino. I suoi colleghi, saprà una volta in Italia, sono stati uccisi. Chissà se e quando potrà tornare a casa, smettendo di essere un « caso » da Alto commissariato Onu. Capita sempre più spesso, ed è per questo che il numero dei rifugiati diminuisce. L’ anno scorso 940 mila persone sono rientrate in Afghanistan ( comunque il Paese d’ origine del più alto numero di rifugiati al mondo), portando a oltre 3,5 milioni il totale dei rimpatri nell’ ultimo quadriennio. Sempre nel 2004, quasi 200 mila rifugiati sono tornati in Iraq. L’ Onu parla di « livello di rimpatri volontari senza precedenti » . In Angola e Burundi sono tornate 90 mila persone, in Liberia 57 mila, in Sierra Leone 26 mila, in Somalia 18 mila. Ci sono 27 Paesi del mondo che hanno assistito al rientro di almeno 1.000 cittadini che erano scappati. Certo, i problemi non sono finiti. Il numero degli « sfollati interni » sul pianeta, per esempio, è aumentato: erano 17 milioni e ( complice la crisi nel Darfur) sono diventati 19,2. Fra loro ci sono apolidi, profughi e i cosiddetti « migranti forzati » . Ma la tendenza resta: da fine 2001 più di 5 milioni di rifugiati hanno fatto ritorno nei propri Paesi d’ origine. IL FUTURO – « Il numero di afghani tornati a casa dimostra che investire nella soluzione dei conflitti a bassa intensità funziona » , dice Laura Boldrini, portavoce dell’ Unhcr. Non soltanto salgono i rimpatri, ma cala anche il numero di richieste d’ asilo in altri Paesi. « L’ importante – conclude Boldrini – è che i richiedenti asilo siano informati dei loro diritti quando arrivano in un Paese straniero, e che ci si liberi dal preconcetto negativo sui rifugiati che complica il processo di integrazione. Si tratta di persone che se potessero resterebbero a casa loro e che non minacciano la sicurezza del Paese che li ospita » . LA DEFINIZIONE Secondo la Convenzione di Ginevra, con il termine di «rifugiato» si indica chi rischia la persecuzione per la sua razza, religione, cittadinanza, l’ appartenenza a un gruppo sociale o le opinioni politiche LA CLASSIFICA Nel mondo, il primo Paese di origine dei rifugiati è ancora l’ Afghanistan. Seguono Sudan, Burundi, Rep. Dem. del Congo, Somalia, Palestina, Vietnam, Liberia, Iraq, Serbia e Montenegro 50 Gli artisti che hanno donato le opere che saranno esposte da oggi a Roma, nei Musei di San Salvatore in Lauro, e battute all’ asta il 6 luglio per aiutare il Darfur. È una delle iniziative per la Giornata dei rifugiati 1.046.000 I rifugiati in Iran, primo Paese al mondo per «accoglienza». Seguono Pakistan con 961 mila, Germania con 877 mila, Tanzania con 602 mila. Negli Usa sono 421 mila, in Italia circa 15 mila