Stato d’allerta in Iraq per le forze americane e per quelle del governo filo-Usa e filo-Iran di Al Maliki alla vigilia della sentenza nel processo a Saddam Hussein e ad altri sette esponenti dell’ex regime, celebrato davanti ad un tribunale speciale istituito dall’ex governatore Usa Paul Bremer. Il coprifuoco sarà totale nelle province di Baghdad, Salaheddin e Diyala a partire da questa mattina quando anche l’aeroporto internazionale della capitale irachena verrà chiuso «fino a nuovo ordine». Nelle ultime ore si era parlato di un possibile «slittamento» della sentenza ma il premier al Maliki – dando un’ulteriore prova dell’indipendenza del tribunale speciale – ha ieri affermato che il verdetto nel processo per l’uccisione a Dujail di 148 sciiti filo-iraniani (condannati a morte nel luglio 1982, durante la prima guerra del Golfo, per aver preso parte ad un fallito attentato allo stesso Saddam Hussein) verrà pronunciato questa mattina dal giudice Rauf Rashid Abdul Rahman (anche lui ex oppositore del passato regime) presidente del Tribunale speciale iracheno (Tsi).
Una condanna a morte di Saddam, per di più emessa da giudici provenienti dalle fila dei movimenti che al momento dei fatti (ma in realtà per molti a Baghdad anche oggi) lavoravano per «il nemico», per l’esercito iraniano con il quale l’Iraq era in guerra, e che per di più sono stati nominati dagli occupanti americani, verrà sentita da gran parte dell’opinione pubblica come una grave offesa nei confronti dell’intero paese, anche da parte di coloro che hanno visto di buon occhio l’ uscita di scena del passato regime. La condanna di Saddam Hussein, e una sua probabile uccisione, coronerà il lavoro comune portato avanti dagli Usa, per conto di Israele, e dall’Iran per distruggere e dividere l’Iraq e, nelle intenzioni di Washington, dovrebbe scavare un solco incolmabile di odio tra la comunità sunnita, alla quale appartiene Saddam, e quella sciita. Anche questa previsione però come tutte quelle che l’hanno preceduta, potrebbe rivelarsi ben lungi dal realizzarsi e magari tramutarsi nel suo contrario unendo la popolazione irachena contro la divisione delle spoglie dell’Iraq tra americani e iraniani. In una lettera inviata al presidente Usa George W. Bush, l’ avvocato Khalil al-Dulaimi, difensore di fiducia iracheno di Saddam Hussein, ha ammonito pochi giorni fa che una condanna a morte dell’ex Rais rischierebbe di «mettere a ferro e fuoco» l’Iraq. E in una dura dichiarazione diffusa l’altro ieri ad Amman, l’ avvocato è tornato a scagliarsi contro il processo bollato come «una pagina del libro dell’occupazione» e ha sostenuto che, secondo Saddam Hussein, la sentenza sarebbe stata «intenzionalmente programmata» alla vigilia delle elezioni Usa di mezzo termine, il 7 novembre. Contro il processo farsa si è schierato Ramsey Clark, ex ministro della giustizia americano, che ha assunto la difesa di Saddam Hussein e che oggi sarà a Baghdad per la sentenza. «È un processo ingiusto per molti aspetti – ha sostenuto ieri- Dove si è mai visto un processo svolgersi in mezzo ad una tale, incontrollabile, violenza?» Ramsey Clark ha poi accusato il tribunale di «mancanza di imparzialità » e ha detto di ritenere che «la giustizia del vincitore in un momento come questo in Iraq è qualcosa che la storia e l’umanità non dovrebbero sopportare». Dello stesso parere è la Commissione dell’Onu sulle Detenzioni arbitrarie secondo la quale il processo stesso sarebbe del tutto illegale e violerebbe la legge internazionale.