Si decide sulle conquiste di civiltà democratica che, proprio 60 anni fa, per essere state conquistate con la Resistenza si costituzionalizzarono. Che divennero perciò la base della nostra convivenza civile. La definirono, la legittimarono. E su quella base furono costruiti i nuovi rapporti sociali, economici, politici, riconoscendo a ciascuna donna e a ciascun uomodi questo paese i diritti di libertà, idiritti civili, i diritti politici. Edin più, rispetto al lascito del costituzionalismo liberale, tutti i diritti sociali e quel diritto del tutto nuovo: il diritto al pieno sviluppo di ciascuno e di tutti, sancito come compito specifico e qualificante della Repubblica italiana (art. 3) di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese». E’ questa Costituzione che è in gioco, la Costituzione democratica e antifascista. La Costituzione che riconosce il diritto dei lavoratori a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a ciascuno di essi e alle loro famiglie un’esistenza libera e dignitosa. Perché è la Costituzione che innestando flussi robusti di partecipazione e attribuendo a tutti i cittadini il diritto di associarsi per determinare democraticamente la politica nazionale, disegnauna democrazia rappresentativa tesa a superarne le carenze tradizionali, a renderla credibile. È stata tenace e insidiosa l’opera di delegittimazione che ha colpito questa Costituzione da venti e più anni. Iniziò con la proposta craxiana della «grande riforma istituzionale». Proseguì sostenendo la separazione della prima sua parte dalla seconda, come se tra le due normative non ci fosse un rapporto di strumentalità, insopprimibile e ineludibile perché degli apparati rispetto ai diritti, ai principi, ai fini dell’ordinamento. Si innalzò poi l’idolo della stabilità, rinnegando quello della responsabilità, continua e verificabile del governo, da non ridurre e da non rinviare a un solo minuto di un solo giorno ogni cinque anni, a seguito di qualche ubriacatura mediatica. Si esaltò poi la panacea del federalismo traducendolo da tensione all’unità a rottura dell’unità d’Italia. La riforma berlusconianamira a concludere il processo di delegittimazione come essa soltanto poteva, degradando, distorcendo, corrompendo istituzioni, rapporti, equilibri. Spezza l’unità dell’ordinamento giuridico italiano, in venti e forse più ordinamentini, vanifica la solidarietà base della convivenza, rinnega l’eguaglianza formale e sostanziale. Fa strame delle conquiste di civiltà giuridica e politica. Svuota del significato suo proprio la rappresentanza politica, base e condizione della stessa democrazia. Trasforma imembridella Camera dei deputati da rappresentanti del corpo elettorale in rappresentanti del primo ministro, impiegati nel tradurre in legge i dettami del primoministro, se dimaggioranza e, se di opposizione, in ospiti sgraditi e inutili, licenziabili in tronco gli uni e gli altri. Concentra nel primoministro il potere di direzione politica, amministrativa, legislativa e di determinazione del contenuto delle sentenze e svuota di ogni rilevanza effettiva tutti gli altri organi supremi dello stato. Trasforma la forma di stato e di governo in monocrazia. Andare a votare e votare no è perciò un dovere, un dovere vitale. Non possiamo altrimenti.