Oggi in Iraq, domani negli Usa

Gruppi di neonazisti infiltrano l’esercito statunitense, tanto che ormai si trovano graffiti della “Nazione Ariana” a Baghdad. L’allarme è stato lanciato qualche mese fa dal Southern Poverty Law Center (Splc), un’organizzazione che monitora le attività dei gruppi razzisti negli Usa, che ha parlato di “migliaia di estremisti di destra” tra le truppe americane. Il problema non è nuovo, anche se l’esercito credeva di averlo risolto. Ma se qualcuno pensa che i neonazisti si arruolino per dar man forte alla razza bianca nella guerra al terrorismo, felici di poter eliminare nemici della patria nel caos dell’Iraq, si sbaglia di grosso. Il vero fronte, per i white nationalists, è quello interno. Contro gli ispanici.

Infiltrati. Eric Gliebe, presidente della National Alliance (uno dei più grandi gruppi neonazisti negli Usa), conferma l’aumentata presenza di nazionalisti bianchi nelle forze armate, ma non ci vede il problema. “Sono persone orgogliose della propria patria, l’esercito dà esperienza e buone opportunità di carriera, che male c’è?”, dice a PeaceReporter. Piuttosto, a modo suo è anche lui preoccupato del crescente arruolamento di “indesiderabili”. “Ormai l’esercito è pieno di membri di gang nere e ispaniche, che spesso rubano le armi per i loro scopi”, accusa. Una preoccupazione condivisa anche da alcuni partecipanti del forum Stormfront.org, il sito più famoso della comunità neonazista. “Magari l’esercito fosse pieno di nazionalisti bianchi”, scrive un ragazzo che sostiene di essere un ufficiale. “Quello che vedo ogni giorno, invece, sono criminali negri di strada, messicani, portoricani travestiti da soldati. Molti parlano un inglese stentato, ma siccome l’esercito ha un bisogno estremo di personale, offrono loro la cittadinanza se si arruolano”.

L’addestramento. La situazione descritta, epiteti a parte, non è lontana dalla realtà. Tra i graffiti comparsi in Iraq, su muri e veicoli militari, ci sono anche quelli di gang di neri e latinos: Gangster Disciples, Latin Kings, Vice Lords e altre. L’esercito nega il problema anche se Scott Barfield, un detective militare della base di Fort Lewis, sostiene di aver identificato 320 membri di gang negli ultimi quattro anni, definendoli “solo la punta dell’iceberg”. Le organizzazioni che monitorano questi problemi, come il Splc, avvertono che sia le gang di neri e ispanici, sia i membri di gruppi neonazisti, si arruolano anche per esercitarsi militarmente. “La vera guerra, per loro, è a casa”, spiega a PeaceReporter Mark Potok del Southern Poverty Law Center. “Servendo nella fanteria, impari a maneggiare le armi, e i white supremacists hanno una lunga storia di furti di armi ed esplosivi”.

Cambio di priorità. Dopo l’attentato di Oklahoma City del 1995 a opera di Tim McVeigh, un ex soldato che aveva cercato di fare proseliti sotto le armi, il Pentagono si accorse del problema e cercò di dare un giro di vite. Il Pentagono lanciò un’indagine interna. A Fort Lewis, un generale ordinò che venissero spogliati tutti i 19.000 soldati della base, per vedere se avevano dei tatuaggi di gruppi estremisti. Oggi, preoccupati di rimpolpare le forze armate in un periodo in cui l’arruolamento si fa sempre più difficile, i vertici militari sembrano aver cambiato le priorità: se prima i tatuaggi non erano permessi, da quest’anno la regola impedisce solo quelli sul volto. In alcuni casi, ha denunciato Barfield, dei reclutatori hanno persino aiutato le aspiranti reclute a coprire i loro tatuaggi durante l’esame di ammissione.

Il vero nemico. Per quanto riguarda i nazionalisti bianchi, nell’esercito ci andranno anche volentieri, ma in Iraq no. I neonazisti vedono lo zampino degli ebrei anche in questo conflitto. “Sarei anche interessato ad arruolarmi per addestrarmi, ma non voglio andare a combattere per Israele e per gli ebrei”, scrive un partecipante al forum di Stormfront.org. I nemici non sono i musulmani, anche se qua e là possono comparire gli epiteti scuzlims (un misto tra scum, feccia, e muslims) e mudskin (pelle di fango). Ma le attenzioni sono tutte per gli ispanici. “Dovremmo permettere l’arrivo in America solo agli immigrati bianchi”, dice Gliebe, che gira contro i latinos le accuse di rubare le armi quando sono in uniforme. Gli ispanici crescono ogni anno, popolano le città statunitensi, gli Stati Uniti diventano sempre più bilingui, mentre i politici si preoccupano di altro. “Potrebbe andare come fu per Roma e i visigoti”, scrive un ragazzo su Stormfront.org. “Roma aveva il suo esercito impegnato alla periferia dell’impero, e intanto i visigoti avanzarono nei territori scoperti. In cambio ottennero la penisola iberica”.